La questione della cessazione del rapporto lavorativo con dipendenti in condizioni di disabilità rappresenta uno degli aspetti più delicati nel diritto del lavoro italiano ed europeo. L’applicazione dei principi di parità di trattamento e inclusione comporta, per i datori di lavoro, obblighi stringenti e una valutazione approfondita delle situazioni individuali.
Questo scenario normativo è influenzato da fonti nazionali e sovranazionali che impongono garanzie specifiche, pensate per salvaguardare la dignità e la continuità occupazionale di persone con disabilità.
Le principali tutele per i lavoratori disabili: norme e principi europei, nazionali e giurisprudenziali
La tutela delle persone con disabilità con Legge 104 nel contesto lavorativo si fonda su diverse norme che prevedono soprattutto il divieto di discriminazione e un sistema di accomodamenti ragionevoli (come la modifica delle mansioni, la formazione, il trasferimento o adattamento dei compiti):
- L’articolo 3 della Costituzione italiana sancisce il principio di uguaglianza sostanziale.
- La Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, ratificata dall’Italia, impone la massima protezione contro ogni tipo di discriminazione, con particolare attenzione a quella indiretta che si realizza mediante l’applicazione uguale di regole che, nei fatti, pongono chi è in condizione di disabilità in una posizione di svantaggio.
- La giurisprudenza costante della Corte di Cassazione e della Corte di Giustizia Europea ha progressivamente rafforzato le tutele, inserendo il tema dell’accomodamento ragionevole come criterio guida per valutare la legittimità delle decisioni datoriali.
Il licenziamento del dipendente disabile: presupposti di legittimità, casi concreti e limiti imposti dalla Cassazione
Secondo il diritto attuale e gli indirizzi della giurisprudenza di merito e di legittimità,
il recesso del datore nei confronti di un lavoratore affetto da disabilità è consentito solo in presenza di condizioni ben definite. L’allontanamento può avvenire solo dove risulti
oggettivamente impossibile la prosecuzione del rapporto di lavoro, dopo aver esperito ogni tentativo di adattamento delle mansioni o dell’organizzazione:
- Le ragioni oggettive, come la soppressione del posto, sono valutate rigorosamente rispetto alla condizione della persona, tenendo conto delle sue specifiche limitazioni e delle possibilità di intervento organizzativo.
- La corte di Cassazione ha chiarito che l’ordinario periodo di comporto (tempo massimo di assenze per malattia previsto dalla legge o dal contratto collettivo) non può essere applicato in modo meccanico. Laddove il datore sia consapevole dello stato di disabilità, è tenuto a verificarne la connessione tra assenza e handicap ed esplorare soluzioni meno impattanti, anche modificando l'organizzazione interna.
- L’inosservanza di questo iter costituisce discriminazione indiretta e rende il licenziamento nullo.
Alcune sentenze, tra cui
la sentenza della Corte di Cassazione n. 24994 dell’11 settembre 2025, richiedono all’azienda la dimostrazione fattuale di aver percorso tutte le strade offerte dall’ordinamento (formazione, ricollocazione a mansioni compatibili, smart working, modifica degli orari). In particolare, i giudici hanno stabilito le condizioni rigorose alle quali un
licenziamento per sopravvenuta inidoneità fisica può essere considerato legittimo.
Secondo la Corte, il licenziamento è possibile dopo che il datore di lavoro ha dimostrato di aver percorso ogni strada per trovare degli accomodamenti ragionevoli compatibili con il nuovo stato di salute del lavoratore. L’onere della prova ricade interamente e in modo imprescindibile sull’imprenditore.
Ciò significa che il datore di lavoro, prima di giungere all’estinzione del rapporto, deve documentare approfonditamente le ragioni della propria scelta e le alternative valutate.
Obbligo di accomodamenti ragionevoli e cosa deve provare il datore di lavoro
L’adozione degli accomodamenti ragionevoli costituisce oggi il fulcro delle garanzie offerte al lavoratore disabile contro il licenziamento. L’imprenditore, secondo la disciplina nazionale ed europea e la recente giurisprudenza, è chiamato a un’attività proattiva che va ben oltre la semplice ricerca di posti vacanti:
- L’obbligo di accomodamento comprende l’adattamento delle postazioni, la modifica degli orari, la proposta di smart working e, ove necessario, la formazione per nuove mansioni. La verifica non può limitarsi ad uno sforzo formale ma deve essere seria, documentabile e proporzionata alle dimensioni e alle risorse dell’azienda.
- Il cosiddetto repechage (tentativo di ricollocamento) si affianca all’obbligo di accomodamento, obbligando la parte datoriale a provare di avere esaminato e offerto ogni soluzione ragionevolmente attuabile a tutela della posizione del dipendente.
- La Cassazione sottolinea che la mera dichiarazione di assenza di posti compatibili non è sufficiente: occorrono atti, documenti e, se del caso, testimonianze che dimostrino l’effettiva impossibilità di assorbire il lavoratore in soluzioni alternative.
Il ruolo della prova e dell’onere probatorio nei giudizi di licenziamento per disabilità
La disciplina processuale dei
licenziamenti legati alla condizione di disabilità è caratterizzata da un chiaro
onere della prova a carico del datore di lavoro. È infatti quest’ultimo che, in caso di contestazione giudiziale, è chiamato a dimostrare:
- l’assenza di discriminazione nei confronti del lavoratore;
- l’attuazione di ogni accomodamento ragionevole e la concreta impossibilità di ulteriori soluzioni organizzative;
- eventuali oneri sproporzionati o squilibri rispetto alle possibilità finanziarie e produttive dell’impresa.
Il lavoratore deve, invece, solo fornire elementi che rendano verosimile una discriminazione, mentre compete al giudice, sulla base delle prove fornite dal datore, valutare la fondatezza del licenziamento.
Le nuove sentenze della Cassazione: casi pratici e impatti per lavoratori e aziende
Le decisioni più recenti della Corte di Cassazione hanno contribuito a precisare il perimetro delle tutele e degli obblighi coinvolti nei casi di licenziamento di lavoratori disabili. Tra i principi enunciati spiccano:
- Caso delle assenze collegate alla disabilità: le sentenze sottolineano che, dove le malattie siano direttamente connesse allo stato di disabilità, l’applicazione meccanica del comporto e il licenziamento immediato si configurano come discriminazione indiretta.
- Ricollocamento e formazione: viene richiesto all’azienda non solo di valutare ruoli già esistenti, ma anche di offrire, quando possibile, percorsi formativi idonei a consentire nuovi inserimenti lavorativi adattati alle capacità residue del lavoratore.
- Accomodamento organizzativo e smart working: il datore di lavoro è chiamato a dimostrare di aver considerato soluzioni lavorative flessibili (es. lavoro da remoto, turnazioni particolari), documentando ogni fase della valutazione e dell’interlocuzione con il dipendente.
Sentenza |
Principio espresso |
Ordinanza Cassazione n. 24994/2025 |
Necessità di accomodamenti ragionevoli prima del licenziamento. Il comportamento passivo del datore configura discriminazione e può determinare la nullità dell’atto. |
Ordinanza n. 170/2025 |
Obbligo di esaminare la connessione tra assenze per malattia e disabilità, con verifica di soluzioni personalizzate alternative al recesso. |
Ordinanza n. 460/2025 |
Perfetta legittimità del licenziamento solo se fondata su motivazione reale e dopo concreta verifica dell’impossibilità di riorganizzazione a vantaggio del lavoratore. |
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