Le regole sulle assenze per malattia dei dipendenti con disabilità, in Italia, ha un ruolo centrale nei rapporti di lavoro e nella prevenzione di disparità.
La normativa riconosce il diritto al mantenimento del posto entro determinati limiti temporali, denominati periodo di comporto, ma la sua applicazione su persone con ridotta capacità lavorativa solleva interrogativi di equità ed esige attenzioni particolari.
Il periodo di comporto, previsto dalla normativa italiana e disciplinato dalla contrattazione collettiva, consiste nell’arco temporale massimo durante il quale il lavoratore assente per malattia conserva il diritto alla conservazione del posto.
Durante tale intervallo, il rapporto di lavoro è sospeso, ma il datore non può procedere al licenziamento salvo situazioni eccezionali.
L’assenza prolungata oltre questo termine, invece, legittima la risoluzione del rapporto per superamento dei limiti previsti. Generalmente, la durata del periodo di comporto è stabilita dai contratti collettivi nazionali (CCNL) e può variare in funzione dell’anzianità e del tipo di rapporto lavorativo.
Entrando più nel dettaglio:
Nel caso delle persone con disabilità, la gestione delle assenze risulta più complessa.
In questi casi, la determinazione dei giorni effettivi di comporto deve tenere conto dell’eventuale legame tra le patologie e la disabilità, come stabilito dalle più recenti pronunce della Corte di Cassazione.
Secondo la normativa in vigore, applicare in modo neutro i limiti di comporto può configurare una discriminazione indiretta ai danni di lavoratori con disabilità.
Disposizioni solo apparentemente uguali, se non adeguate al contesto individuale, generano infatti una disparità di trattamento tra soggetti con maggiore esposizione alla malattia e il resto della forza lavoro.
La normativa attuale stabilisce il divieto di discriminazioni che, pur non essendo direttamente fondate sulla disabilità, pongano comunque in “posizione di particolare svantaggio” chi si trova in questa condizione.
In virtù di tali principi, la Cassazione (con la sentenza del 31 maggio 2024, n. 15282) ha affermato che equiparare il funzionamento del comporto al lavoratore disabile e il relativo calcolo a quello degli altri dipendenti è illegittimo se l’assenza è causata da malattie collegate allo status di disabilità.
Secondo il principio degli “accomodamenti ragionevoli”, e dei diversi provvedimenti che lo hanno adottato, il datore di lavoro ha l'obbligo di adottare modifiche organizzative, logistiche o procedurali che consentano una partecipazione professionale in condizioni di effettiva uguaglianza.
Gli accomodamenti possono essere di varie tipologie: adattamento delle mansioni, ridefinizione dell’orario, modifiche di strumenti e ambienti, flessibilità nelle modalità di lavoro.
L’implementazione efficace di queste misure richiede, secondo la giurisprudenza, la valutazione del caso concreto e il coinvolgimento sia del dipendente sia dei rappresentanti aziendali.
Il funzionamento del periodo di comporto del lavoratore disabile e il relativo calcolo implica la distinzione dei giorni di assenza direttamente riconducibili alla disabilità, che devono essere esclusi dal computo del periodo di comporto, da quelli derivanti da condizioni patologiche comuni, che invece vanno conteggiati. Inoltre prevede:
L'applicazione dei principi descritti può risultare complessa, ma alcuni casi concreti facilitano la comprensione dei corretti criteri di calcolo.
Tipologia di assenza | Comportamento ai fini del calcolo |
Malattia comune non correlata a disabilità | Conteggiata nel periodo di comporto |
Assenza per patologia collegata a condizione di disabilità certificata | Non conteggiata nel periodo di comporto |
Assenza con sospetta correlazione (ma non certificata) | Valutazione caso per caso con coinvolgimento del medico |
Un collaboratore a part-time verticale che lavora tre giorni a settimana per 18 ore, assente per 30 giorni nel corso dell’anno per malattia direttamente collegata alla sua disabilità, non vedrà conteggiati questi giorni nel proprio periodo di comporto.
Se, invece, nei successivi 10 giorni si assenta per malattia ordinaria non collegata alla sua condizione, tali giorni andranno sommati ai fini della verifica del superamento dei limiti previsti dal contratto collettivo.