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Si può scioperare anche senza sindacati a precise condizioni senza rischiare nulla in base sentenza Cassazione n. 11347/2025

di Marcello Tansini pubblicato il
Sciopero sentenza Cassazione

La recente sentenza della Cassazione n. 11347/2025 ridefinisce le regole dello sciopero spontaneo, aprendo nuovi scenari per i lavoratori anche in assenza di sindacati, chiarendo condizioni, tutele e limiti giuridici.

Il quadro normativo italiano relativo alla tutela dei lavoratori viene ridefinito dalla decisione n. 11347/2025 della Corte di Cassazione. Questo pronunciamento esprime una visione aggiornata sul diritto di astenersi dal lavoro anche in assenza di un'iniziativa ufficiale dei sindacati. La pronuncia chiarisce, infatti, che l’iniziativa di gruppo volta a rivendicare diritti comuni, quando sana e condivisa tra dipendenti, può essere attuata senza l’intervento formale delle organizzazioni sindacali, integrando comunque il diritto di sciopero garantito dall’ordinamento italiano.

La liceità di tale astensione dal lavoro si basa sul rispetto di specifiche condizioni stabilite dal legislatore e dagli orientamenti giurisprudenziali consolidati, che mirano a bilanciare la tutela del dipendente con la salvaguardia delle esigenze organizzative e produttive delle aziende. Questo equilibrio, delineato dalla Suprema Corte, rafforza la consapevolezza dell’importanza dei diritti dei lavoratori e ridefinisce il ruolo delle forme di protesta collettiva non ufficialmente riconosciute dai sindacati.

Cosa stabilisce la sentenza Cassazione n. 11347/2025 sullo sciopero spontaneo

La Cassazione, con la sentenza n. 11347 del 2025, ha affrontato il caso di tre lavoratori licenziati per aver aderito ad una breve astensione dal lavoro, organizzata spontaneamente senza l’appoggio delle sigle sindacali. Il cuore della decisione risiede nell’affermazione per cui la mancanza di una proclamazione da parte di un’organizzazione sindacale non priva di tutela la protesta collettiva. I giudici hanno contenuto il rischio di licenziamento soltanto in presenza di condizioni che superano soglie di illegalità estrema. L’azione sindacale "spontanea" viene dunque equiparata sotto il profilo della liceità all’astensione formale indetta dai sindacati registrati:

  • La forma di protesta deve essere effettivamente collettiva e rivolta a interessi comuni tra più lavoratori;
  • La motivazione dello sciopero deve riguardare aspetti condivisi e rientrare in un contesto di rapporti di lavoro;
  • Non deve comprometterne altri diritti di pari rango tutelati costituzionalmente.
Per quanto riguarda la procedura, la Corte precisa che all’interno del lavoro privato non è richiesto alcun preavviso, eccetto che nei servizi pubblici essenziali, sottoposti alla legge n. 146/1990. La conseguenza più significativa di questa sentenza è l’applicazione della tutela reintegratoria piena in caso di licenziamento nullo: il reimpiego nelle mansioni precedenti e il riconoscimento degli arretrati sono garantiti anche ai protagonisti dello sciopero spontaneo, purché legittimo determinando un passo avanti concreto nell’estensione delle garanzie lavorative.

Quando lo sciopero è considerato legittimo senza sindacati: le condizioni necessarie

Affinché lo sciopero spontaneo sia qualificato come lecito, le regole tratte dalla stessa sentenza della Cassazione sono chiare. Occorre anzitutto che l’azione sia collettiva e non meramente individuale: ciò implica la partecipazione congiunta di più dipendenti orientati da un interesse comune. Questa dimensione distingue una protesta genuina da singole assenze prive di fondamento contrattuale:

  • Collettività e comunanza di scopo: l’astensione dal lavoro deve coinvolgere almeno una pluralità di lavoratori uniti dal perseguimento di interessi professionali condivisi, ad esempio richieste salariali eque o condizioni di lavoro dignitose. La legittimità dello sciopero sussiste laddove la motivazione riguardi il gruppo o una categoria omogenea e non ambiti strettamente personali.
  • Assenza di formalità obbligatorie: fuori dai servizi pubblici essenziali, non sono indispensabili preavvisi, comunicazioni formali o la proclamazione da parte di un sindacato. È sufficiente la dimostrazione della volontà collettiva e della finalità di tutela di interessi comuni. L’assenza di passaggi burocratici, in questo senso, non incide sulla legalità della protesta.
  • Rispetto dei limiti esterni: lo sciopero non deve compromettere beni giuridici di pari rango, come la sicurezza, la salute pubblica o la possibilità di prosecuzione dell’attività economica in futuro. Ad esempio, un’azione che provochi danni irreversibili all’impianto produttivo o metta in pericolo la vita degli individui non è ammessa.
La stessa Corte sottolinea che tali principi valgono a prescindere dalla dimensione dell’azienda e sono estesi sia ai lavoratori assunti con il regime precedente al Jobs Act sia a chi rientra sotto l’art. 2 d.lgs. 23/2015. Perciò, la liceità dello sciopero spontaneo si valuta sempre alla luce della nuova linea interpretativa tracciata dalla Cassazione.

I limiti esterni e le situazioni in cui lo sciopero può essere considerato illecito

Pur riconoscendo un ampio margine di esercizio al diritto di sciopero non sindacalizzato, la Cassazione identifica limiti chiari, chiamati “limiti esterni”, la cui violazione fa perdere al lavoratore le tutele previste. Lo sciopero non è infatti privo di confini: la sua ammissibilità si ferma laddove l’astensione compromette diritti fondamentali, la sicurezza collettiva o la continuità dell’azienda.

Le situazioni tipiche in cui una protesta può essere considerata illecita includono:

  • Generazione di danni irreversibili o blocco permanente delle attività produttive, con la messa a rischio della sopravvivenza stessa dell’impresa.
  • Distruzione o inutilizzabilità duratura di impianti, macchinari e strutture, andando oltre il semplice disagio temporaneo.
  • Messa in pericolo di beni o persone, come ad esempio l’interruzione improvvisa delle attività in ambito sanitario o nei trasporti quando si violano criteri minimi di sicurezza sociale.
  • Pregiudizio grave e stabile sull’occupazione generale o perdita consistente di posti di lavoro.
Per i servizi pubblici essenziali, qualsiasi protesta deve rispettare specifiche garanzie, in base alla legge n. 146/1990. Se lo sciopero spontaneo non determina uno di questi effetti negativi, permane la piena legalità dell’astensione, anche senza la supervisione di un sindacato.

Le tutele per il lavoratore: cosa succede se si viene licenziati per sciopero spontaneo

Un licenziamento legato alla partecipazione a una protesta spontanea che rispetta i criteri della giurisprudenza viene considerato nullo. Questa nullità discende dal carattere illecito e discriminatorio dell’azione del datore di lavoro, in violazione sia dell’art. 15 della Legge n. 300/1970 sia dell’art. 40 della Costituzione.

Le principali conseguenze sul piano delle tutele sono:

  • Il lavoratore ha diritto alla reintegrazione piena nel posto che occupava precedentemente;
  • Si riconosce il risarcimento del danno, pari alle retribuzioni perse tra la data del licenziamento e la reintegrazione, non inferiore a cinque mensilità;
  • Il conteggio e il versamento di tutti i contributi previdenziali e assistenziali relativi al periodo di estromissione forzata;
  • Facoltà di optare, in alternativa alla reintegra, per l’indennità sostitutiva prevista dalla normativa vigente.
Queste garanzie si estendono a tutte le tipologie di imprese, senza distinzione legata alle dimensioni aziendali:

Forma di tutela

Applicazione

Reintegrazione

Obbligatoria, salvo scelta dell'indennità

Risarcimento

Retribuzioni perse dal licenziamento alla riammissione (min. 5 mensilità)

Contributi

Pagati per l'intero periodo

Conseguenze pratiche per aziende e lavoratori: cosa cambia nella gestione dei conflitti collettivi

L’orientamento espresso dalla Cassazione produce effetti tangibili nella dinamica quotidiana tra datore di lavoro e dipendenti. Anzitutto, le imprese sono chiamate ad un maggiore rispetto delle manifestazioni di dissenso collettivo, anche prive di forme ufficiali.

  • Non può essere sanzionata, né repressa con il licenziamento, un’astensione dal lavoro autenticamente collettiva e conforme ai limiti individuati dal legislatore e dalla Corte.
  • L’applicazione delle tutele reintegratorie e risarcitorie, in caso di licenziamento nullo, rafforza il potere negoziale dei lavoratori e impone cautela nelle reazioni datoriali alle forme di dissenso spontaneo.
  • Nell’ambito dei servizi essenziali, resta ferma la necessità di bilanciare le esigenze dell’utenza con le ragioni della protesta, mantenendo attivi i servizi minimi previsti dalla legge.
Infine, il messaggio ai lavoratori è chiaro: anche in assenza di grandi sigle sindacali, le rivendicazioni di gruppo conservano piena dignità e protezione se restano nei binari della legalità, favorendo nuove modalità di confronto e gestione dei conflitti interni.


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