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Test del finto cliente per controllare dipendenti: che cos'è e come funziona, regole, limiti e sanzioni e licenziamenti possibili

di Marcello Tansini pubblicato il
Test finto cliente controllare dipendent

Come funziona e cosa implica il test del finto cliente per controllare il corretto lavoro dei dipendenti

La pratica del cosiddetto test tramite cliente in incognito ha origine nel mondo del marketing come strumento per valutare la qualità del servizio offerto e del lavoro dei dipendenti. Inizialmente questo metodo veniva utilizzato per osservare l’accoglienza, la cortesia e l’efficienza degli addetti alle vendite, soprattutto nel settore della grande distribuzione, nella ristorazione e nel commercio al dettaglio. L’obiettivo era fornire feedback oggettivi all’azienda su punti forti e criticità dell’esperienza vissuta dai clienti.

Negli ultimi anni la funzione principale di questo strumento ha subito una trasformazione. Diverse aziende hanno sfruttato il mystery client anche per finalità di controllo interno, ossia per valutare la correttezza operativa e il rispetto delle procedure dei propri dipendenti.

Questa evoluzione ha portato a discussioni accese nel settore lavorativo, soprattutto quando il test in incognito non si limita a rilevare la qualità del servizio ma viene impiegato per motivare contestazioni disciplinari o addirittura il licenziamento dei lavoratori sottoposti al controllo. Dalla GDO alla ristorazione, passando per piccoli esercizi, il ricorso a clienti finti si è ampiamente diffuso. 

Come funziona il test del finto cliente nei controlli aziendali

Il funzionamento del test del finto cliente prevede l’ingresso in azienda di una persona incaricata, spesso un ispettore interno o un collaboratore esterno, che si finge cliente reale al fine di monitorare il comportamento dei dipendenti in situazioni ordinarie di lavoro. Il cliente "in incognito" può simulare acquisti, porre richieste atipiche o mettere in atto dinamiche che potrebbero indurre a errori o violazioni volontarie o involontarie delle procedure aziendali. In alcune situazioni, come nel cosiddetto “test del carrello”, vengono inseriti articoli nascosti o simulati furti per valutare l’attenzione e la diligenza del personale alle casse.

Successivamente, le informazioni raccolte attraverso l’osservazione discreta vengono documentate in report dettagliati, destinati all’azienda. Tali resoconti possono diventare la base per azioni disciplinari, richiami, sospensioni o licenziamento, soprattutto se emergono mancanze ritenute gravi. Alcune aziende ricorrono a questi test in modo sistematico, ripetendo i controlli anche più volte sullo stesso dipendente. La procedura di controllo prevede:

  • La raccolta delle prove si basa sul principio della sorpresa, essenziale per cogliere eventuali comportamenti scorretti effettuati in assenza di supervisione manifesta.
  • Tuttavia, la linea di demarcazione tra monitoraggio del servizio e controllo occulto della prestazione lavorativa è sottile e rischia di essere superata facilmente.

La legittimità del test del cliente e limiti, abusi e rischi

La normativa di riferimento in materia di controlli sui lavoratori è rappresentata dallo Statuto dei Lavoratori, secondo cui quelli a distanza sono vietati se non giustificati da esigenze oggettive legate a sicurezza o tutela di beni aziendali e previo accordo sindacale o autorizzazione da parte dell’ispettorato del lavoro.

Le pronunce della Corte di Cassazione hanno chiarito che:

  • Il ricorso al cliente fittizio può essere considerato legittimo solo per accertare fatti illeciti concreti e specifici, come furti o appropriazioni indebite, che minacciano gravemente il patrimonio aziendale;
  • Invece è ritenuto illecito se utilizzato per una mera valutazione di “diligenza” nella prestazione lavorativa ordinaria, senza sospetti fondati, ovvero per costruire artatamente elementi disciplinari;
  • Il controllo perde legittimità se mirato ripetutamente e selettivamente su un singolo lavoratore, specie in assenza di precedenti sospetti o fatti gravi.
Un altro aspetto critico concerne la prova raccolta tramite queste metodologie: il provvedimento disciplinare può ritenersi valido solo se il comportamento accertato risulta oggettivamente grave e tale da compromettere irrimediabilmente il rapporto fiduciario. I giudici, infatti, esigono una rigorosa valutazione di proporzionalità tra la condotta rilevata e la sanzione irrogata, pena la possibile reintegrazione del lavoratore.

Non mancano infine i rilievi legati ai profili privacy e al GDPR, i quali impongono un bilanciamento tra controllo e diritti fondamentali

Nell’applicazione pratica di questo metodo emergono criticità rilevanti sotto il profilo dei diritti individuali e collettivi. In primis, il rischio di abusi è alto se i controlli sono rivolti con insistenza al singolo lavoratore senza una motivazione oggettiva, oppure se si trasformano in strumenti per “stanare” dipendenti considerati scomodi, magari per attività sindacale o anzianità.

Casistiche reali hanno evidenziato situazioni come:

  • Ripetute verifiche a distanza ravvicinata rivolte sempre agli stessi dipendenti, con un accanimento che può sfociare in discriminazione o mobbing.
  • La strumentalizzazione del controllo per giustificare un licenziamento già deciso in precedenza.
  • La creazione di vere e proprie “trappole” che non rispecchiano la normale operatività lavorativa, alterando la spontaneità della prestazione e spingendo all’errore.
  • Attacchi verso chi ricopre ruoli sindacali, minando la rappresentanza collettiva.
Particolarmente delicato è il profilo antisindacale: se il dipendente oggetto del controllo ricopre incarichi di rappresentanza, la reiterazione delle prove di verifica può integrare un comportamento vietato dello Statuto dei Lavoratori. In questo caso, il sindacato può ricorrere alla magistratura per fermare pratiche ritenute lesive della libertà sindacale e dei diritti di rappresentanza.

Gli abusi nel ricorso al test del cliente, soprattutto se reiterati e mirati, espongono l’azienda a impugnazioni forti e ad azioni legali tese al riconoscimento della nullità delle sanzioni e della reintegrazione del lavoratore, oltre a richieste risarcitorie.

Sanzioni disciplinari e licenziamento: requisiti di validità e proporzionalità

L’adozione di misure disciplinari sulla base di esiti negativi del test necessita una rigorosa verifica in termini di validità e proporzionalità. Lo Statuto dei Lavoratori e la giurisprudenza richiedono che ogni sanzione sia informata al principio di graduazione rispetto alla gravità della condotta accertata. Richiami, sospensioni o licenziamento sono legittimi solo quando fondati su prove inconfutabili raccolte in modo legittimo.

Elementi imprescindibili per la validità del procedimento sono:

  • Oggettività della prova: i fatti contestati devono essere chiari, circostanziati, documentati e direttamente imputabili al dipendente;
  • Osservanza del giusto procedimento: il lavoratore va messo nelle condizioni di conoscere i fatti contestati e di difendersi efficacemente;
  • Assenza di sproporzione: la sanzione adottata deve essere proporzionata alla gravità del fatto e all’eventuale recidiva, nonché alla posizione del lavoratore;
  • Divieto di licenziamenti punitivi o provocati: non è possibile licenziare senza gravi motivi; errori lievi o isolati, senza dolo, non legittimano il licenziamento in tronco.
La giurisprudenza si è espressa più volte annullando licenziamenti fondati su controlli occulti non giustificati o su violazioni della privacy. Nel caso in cui la sanzione sia sproporzionata o irrogata a seguito di controlli ritenuti non conformi, il giudice può disporre la reintegrazione del lavoratore, il risarcimento del danno e la nullità del licenziamento.


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