Come funziona e cosa implica il test del finto cliente per controllare il corretto lavoro dei dipendenti
La pratica del cosiddetto test tramite cliente in incognito ha origine nel mondo del marketing come strumento per valutare la qualità del servizio offerto e del lavoro dei dipendenti. Inizialmente questo metodo veniva utilizzato per osservare l’accoglienza, la cortesia e l’efficienza degli addetti alle vendite, soprattutto nel settore della grande distribuzione, nella ristorazione e nel commercio al dettaglio. L’obiettivo era fornire feedback oggettivi all’azienda su punti forti e criticità dell’esperienza vissuta dai clienti.
Negli ultimi anni la funzione principale di questo strumento ha subito una trasformazione. Diverse aziende hanno sfruttato il mystery client anche per finalità di controllo interno, ossia per valutare la correttezza operativa e il rispetto delle procedure dei propri dipendenti.
Questa evoluzione ha portato a discussioni accese nel settore lavorativo, soprattutto quando il test in incognito non si limita a rilevare la qualità del servizio ma viene impiegato per motivare contestazioni disciplinari o addirittura il licenziamento dei lavoratori sottoposti al controllo. Dalla GDO alla ristorazione, passando per piccoli esercizi, il ricorso a clienti finti si è ampiamente diffuso.
Il funzionamento del test del finto cliente prevede l’ingresso in azienda di una persona incaricata, spesso un ispettore interno o un collaboratore esterno, che si finge cliente reale al fine di monitorare il comportamento dei dipendenti in situazioni ordinarie di lavoro. Il cliente "in incognito" può simulare acquisti, porre richieste atipiche o mettere in atto dinamiche che potrebbero indurre a errori o violazioni volontarie o involontarie delle procedure aziendali. In alcune situazioni, come nel cosiddetto “test del carrello”, vengono inseriti articoli nascosti o simulati furti per valutare l’attenzione e la diligenza del personale alle casse.
Successivamente, le informazioni raccolte attraverso l’osservazione discreta vengono documentate in report dettagliati, destinati all’azienda. Tali resoconti possono diventare la base per azioni disciplinari, richiami, sospensioni o licenziamento, soprattutto se emergono mancanze ritenute gravi. Alcune aziende ricorrono a questi test in modo sistematico, ripetendo i controlli anche più volte sullo stesso dipendente. La procedura di controllo prevede:
Le pronunce della Corte di Cassazione hanno chiarito che:
Non mancano infine i rilievi legati ai profili privacy e al GDPR, i quali impongono un bilanciamento tra controllo e diritti fondamentali.
Nell’applicazione pratica di questo metodo emergono criticità rilevanti sotto il profilo dei diritti individuali e collettivi. In primis, il rischio di abusi è alto se i controlli sono rivolti con insistenza al singolo lavoratore senza una motivazione oggettiva, oppure se si trasformano in strumenti per “stanare” dipendenti considerati scomodi, magari per attività sindacale o anzianità.
Casistiche reali hanno evidenziato situazioni come:
Gli abusi nel ricorso al test del cliente, soprattutto se reiterati e mirati, espongono l’azienda a impugnazioni forti e ad azioni legali tese al riconoscimento della nullità delle sanzioni e della reintegrazione del lavoratore, oltre a richieste risarcitorie.
L’adozione di misure disciplinari sulla base di esiti negativi del test necessita una rigorosa verifica in termini di validità e proporzionalità. Lo Statuto dei Lavoratori e la giurisprudenza richiedono che ogni sanzione sia informata al principio di graduazione rispetto alla gravità della condotta accertata. Richiami, sospensioni o licenziamento sono legittimi solo quando fondati su prove inconfutabili raccolte in modo legittimo.
Elementi imprescindibili per la validità del procedimento sono: