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Stipendi troppo bassi e ingiusti, due nuove sentenze Cassazione impongono di alzarli andando oltre i CCNL

di Marcello Tansini pubblicato il
Stipendi troppo bassi due nuove sentenze

La Corte di Cassazione, con due sentenze recenti, la n.28230/2023 e la n.27711/2023, ha stabilito che se i Ccnl e la legge non garantiscono una giusta retribuzione, spetta ai giudici a farlo, anche andando oltre i Contratti nazionali

Negli ultimi anni, il tema degli stipendi insufficienti e delle retribuzioni ritenute inadeguate rispetto al valore del lavoro svolto ha assunto importanza crescente nel dibattito pubblico e giuridico in Italia.

Diversi settori, dalla sanità all'istruzione, a settori privati sono attraversati da profonde istanze di giustizia retributiva, spesso disattese da accordi collettivi non aggiornati o dalla scarsità di risorse. In tale contesto, la Corte di Cassazione ha recentemente fornito orientamenti innovativi, intervenendo in casi emblematici che hanno toccato tanto il riconoscimento dello straordinario quanto la protezione dei redditi da pignoramento. 

Il contesto degli stipendi in Italia e la sottovalutazione del lavoro

L’analisi dei dati sugli stipendi medi in Italia evidenzia una situazione di stagnazione e, in alcuni casi, di vero e proprio depauperamento del potere d’acquisto. Secondo l'Istat e altre fonti specializzate, lo stipendio medio annuale per un lavoratore italiano si attesta fra i 29.000 e i 31.000 euro lordi, corrispondenti a una remunerazione mensile netta compresa tra i 1.530 e i 1.800 euro, soggetta alle variazioni derivanti dal settore di appartenenza e dall'anzianità di servizio.

Lo scenario peggiora se si analizzano specifiche categorie: docenti, infermieri e lavoratori della PA spesso percepiscono salari tra i più bassi d’Europa, nonostante in molti casi i carichi di lavoro siano stati incrementati senza un adeguato riallineamento retributivo.

La sottovalutazione della professionalità è testimoniata anche dall’allungamento forzato delle carriere e dai frequenti blocchi degli scatti di anzianità, spesso giustificati da esigenze di contenimento della spesa pubblica più che da una reale valutazione della performance dei singoli lavoratori. Tuttavia, la ridotta capacità di spesa ha effetti negativi sull'economia generale e mina il riconoscimento sociale delle professioni cosiddette “non lucrative”, creando un senso diffuso di ingiustizia e insoddisfazione.

La prima sentenza della Cassazione: riconoscimento delle ore straordinarie e tutela dei lavoratori

Una svolta significativa in tema di tutela delle retribuzioni arriva dalla Corte di Cassazione (Ordinanza n. 21015/2025), che ha riconosciuto il diritto ai lavoratori di ricevere una remunerazione per le ore di lavoro straordinario anche in assenza di autorizzazione scritta, se risulta evidente la necessità di assicurare il servizio e se il datore di lavoro era a conoscenza dell’attività svolta oltre l’orario ordinario.

Questo orientamento assume particolare rilievo nei casi di carenza strutturale del personale, dove diventa indispensabile il ricorso alle ore aggiuntive per garantire la continuità dei servizi essenziali, come accaduto nel comparto sanitario.

  • Lavoro straordinario riconosciuto anche senza il requisito formale, qualora vi sia consapevolezza e non opposizione da parte dell’azienda.
  • Obbligo del pagamento anche retroattivo, laddove risulti l’effettivo svolgimento delle prestazioni supplementari.
  • Tutela rafforzata per i lavoratori in condizioni di fragilità contrattuale, come il personale sanitario o scolastico.
Questo nuovo assetto giurisprudenziale offre un segnale forte nella direzione di una retribuzione equa che tenga realmente conto dell’impegno profuso e delle condizioni di lavoro effettive.

Le due sentenze della Cassazione che permettono alzare stipendi bassi 

La stessa Corte di Cassazione, con due sentenze, la n.28230/2023 e la n.27711/2023, ha stabilito che se i Contratti nazionali di lavoro Ccnl e la legge non garantiscono una giusta retribuzione, come previsto dalla Costituzione, spetta ai giudici a farlo, anche scavalcando i contratti collettivi nazionali (CCNL) firmati. 

La decisione conferma che ogni lavoratore deve ricevere quanto gli spetta per l'impegno profuso nella sua attività, evitando di incorrere in decurtazioni che possano ridurre lo stipendio al di sotto della soglia spettante. 

I Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro costituiscono uno strumento essenziale di regolazione delle condizioni economiche e normative. Tuttavia, le sentenze più recenti hanno sottolineato che il rispetto dei minimi tabellari previsti dal CCNL non esclude la possibilità di erogare trattamenti più vantaggiosi, qualora siano giustificati da esigenze particolari o dal riconoscimento di prestazioni aggiuntive.

Le pronunce n.28230/2023 e n.27711/2023 della Corte hanno stabilito che:

  • Il minimo salariale fissato dal CCNL rappresenta una soglia di garanzia e non un tetto invalicabile.
  • Le parti possono concordare retribuzioni di importo superiore, anche in nome della maggiore professionalità, della complessità delle mansioni o di esigenze organizzative particolari.
  • Il giudice, in presenza di elementi di manifesta inadeguatezza della retribuzione rispetto al parametro di proporzionalità e sufficienza di cui all’art. 36 Costituzione, può riconoscere una somma maggiore rispetto al minimo contrattuale.
Questo orientamento contribuisce a rendere il sistema più flessibile, premiando le iniziative volte a valorizzare la professionalità e, al tempo stesso, contrastando il fenomeno degli stipendi ingiusti. L’apertura alla negoziazione individuale e aziendale consente di colmare, almeno in parte, le lacune dei contratti standardizzati e di garantire la tutela effettiva dei diritti dei lavoratori.