L'ipotesi di un raddoppio dell'imposta sulle transazioni finanziarie - meglio conosciuta come Tobin Tax - scuote il panorama degli investimenti in Italia. Il Governo, inserendo la misura nella Legge di Bilancio 2026, punta a portare l'aliquota dallo 0,1% allo 0,2% per le transazioni di azioni di società quotate e dallo 0,2% allo 0,4% per quelle non quotate. L'obiettivo principale è reperire nuove risorse per il bilancio pubblico, compensando le minori entrate legate alla revisione della tassazione sui dividendi.
A dodici anni dalla sua introduzione, la Tobin Tax si mostra come uno strumento la cui efficacia è contestata: i dati ufficiali segnalano entrate inferiori alle aspettative e una significativa riduzione dei volumi di scambio, con un calo di circa il 40% dal 2013. In questo contesto mutevole, si amplifica il dibattito su chi realmente sopporti il carico di questa imposta e su chi invece riesca, attraverso esenzioni o strategie, a minimizzarne l'impatto.
Cos'è la Tobin Tax: origini, funzione e struttura attuale in Italia
L'imposta sulle transazioni finanziarie trae il nome da James Tobin, economista premio Nobel che nei primi anni Settanta propose una micro-tassa sulle transazioni valutarie per ridurre la volatilità e scoraggiare la speculazione a brevissimo termine. In Italia, la Tobin Tax vede però una formulazione più ampia: introdotta con la Legge 228/2012 (Stabilità 2013), essa colpisce l'acquisto di azioni emesse da società quotate e non, con sede legale nel territorio italiano e capitalizzazione superiore a 500 milioni di euro, ma anche operazioni su derivati legati a titoli italiani e strategie di trading ad alta frequenza.
La funzione originaria della Tobin Tax era duplice:
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Promuovere una maggiore stabilità sui mercati finanziari, riducendo la speculazione
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Generare nuove entrate fiscali per lo Stato attraverso la tassazione di operazioni ritenute ad alta intensità speculativa
Nella pratica, però, la misura ha assunto una connotazione principalmente fiscale. L'imposta ha colpito in particolare le società con grande capitalizzazione e i soggetti attivi sui mercati regolamentati e non, diventando una componente fissa del quadro tributario italiano sulle attività finanziarie. Tuttavia, la mancata armonizzazione europea ha creato un mosaico di regimi nazionali, rendendo il mercato italiano meno competitivo rispetto a piazze come Londra e Zurigo, dove la tassa è poco o nulla presente.
Come funziona la Tobin Tax: aliquote, esenzioni e novità dal 2026
L'applicazione pratica della Tassazione sulle transazioni finanziarie si articola su aliquote distinte a seconda del tipo di strumenti e del luogo in cui avviene la transazione:
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Società quotate (mercati regolamentati): dal 2026 l'aliquota salirà dallo 0,1% allo 0,2% sul controvalore delle azioni acquistate
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Società non quotate o mercati non regolamentati: passaggio dallo 0,2% allo 0,4%
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Operazioni di high frequency trading: l'aliquota sulle negoziazioni rapide aumenta dallo 0,02% allo 0,04%
Il prelievo avviene automaticamente al momento dell'acquisto, a carico dell'acquirente, tramite intermediari (banche, broker online o SGR). Non è richiesta nessuna azione diretta da parte del risparmiatore finale.
La normativa stabilisce criteri di esenzione:
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Operazioni intraday (apertura e chiusura nella stessa seduta di Borsa)
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Acquisti di azioni di società con capitalizzazione media inferiore a 500 milioni di euro (elenco annuale MEF)
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Strumenti emessi da società con sede estera, anche se quotate a Piazza Affari
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Fondi comuni di investimento, ETF sintetici e forme pensionistiche complementari
Il nuovo regime dal 2026, con aumenti rapidi, si pone l'obiettivo dichiarato di coprire circa 1 miliardo di euro di gettito l'anno. Resta però l'incertezza sulla reale efficacia, considerando che dal 2013 lo Stato italiano ha regolarmente incassato molto meno di quanto stimato, attestandosi intorno ai 450-550 milioni annui.
Chi è colpito e chi riesce a evitare la Tobin Tax
La platea dei soggetti effettivamente interessati dal prelievo si compone di:
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Investitori privati e istituzionali che acquistano titoli di società italiane sopra la soglia di capitalizzazione
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Soggetti italiani ed esteri, senza distinzione di residenza, purché esposti su quote azionarie tassabili
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Società di investimento e intermediari che operano compravendite di titoli soggetti all'imposta
Il meccanismo di riscossione risulta agevolato dal ruolo degli intermediari, che trattengono direttamente la tassa sul singolo acquisto. Tuttavia,
molti investitori e operatori professionali trovano vie legali per minimizzare la presenza della tassa nei loro portafogli. Tra le principali strategie di elusione si segnalano:
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Scelta di strumenti esclusi da imposta, come ETF sintetici, obbligazioni, derivati su indici esteri
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Acquisto di azioni di società con sede legale all'estero, anche se quotate a Milano (Campari, Exor, Ferrari, STM)
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Mercati e strumenti esenti selezionati attraverso l'elenco annuale stilato dal MEF
Le società stesse reagiscono a questa imposizione. Diversi emittenti nel passato hanno trasferito la propria sede legale in paesi privi di tassazione analoga - tipicamente Paesi Bassi o Lussemburgo - rendendo così i propri titoli non più soggetti a tassazione in Italia, ma coltivando comunque la permanenza fiscale attraverso le strutture societarie controllate.
I risparmiatori con strategie di lungo periodo risentono meno dell'imposizione, a differenza degli operatori che puntano su trading frequente, PAC azionari e attività speculative, i quali subiscono un aumento tangibile dei costi operativi.
L'impatto della Tobin Tax su Borsa Italiana e il confronto internazionale
Dall'entrata in vigore della Tobin Tax nel 2013, Piazza Affari ha registrato un drastico calo nei volumi di scambio - circa il 40% in meno rispetto ai livelli pre-imposta, con un parallelo incremento sul fronte degli strumenti esenti scelti da investitori istituzionali e privati. La contrazione degli scambi è risultata decisamente più marcata in Italia rispetto ad altre principali borse europee, dove non esistono imposte omologhe o dove le aliquote sono più contenute e circoscritte (come avviene in Francia e Belgio):
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Nazione
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Aliquota/Regime Tobin Tax
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Effetto su volumi
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Italia
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0,2% su azioni quotate (dal 2026)
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-40% volumi scambi
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Francia
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0,3% su azioni di società oltre 1 miliardo market cap
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Stabili
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Belgio
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0,12%-0,35% secondo strumento
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Lievi cali
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UK
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0,5% stamp duty su acquisti azioni UK
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Nessun impatto rilevante
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Svizzera, Nord Europa
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Esente
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Stabili/aumento volumi
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Il divario di volume si è tradotto in una minore attrattività della piazza milanese per investitori esteri e intermediari, con risvolti negativi anche sulle società a partecipazione pubblica di grande capitalizzazione come Enel, Eni, Leonardo e Tim, spesso trascurate nei portafogli globali rispetto a competitor tedeschi o francesi. La dinamica ha indotto alcune aziende a valutare o a trasferire la sede in paesi fiscalmente più vantaggiosi.
In chiave di confronto, l'assenza di armonizzazione in ambito UE - dopo il fallimento del tentativo di Tobin Tax comunitaria - rafforza il fenomeno di migrazione dei capitali e delle listings. Attori globali tendono così a privilegiare mercati dove la pressione fiscale sulle transazioni è assente o irrilevante.
Effetti su mercati, investitori e competitività
Le proiezioni delle ricerche segnalano diversi effetti a cascata legati all'innalzamento delle aliquote dal 2026:
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Contrazione dei volumi trattati: l'esperienza passata e i primi riscontri sulle dinamiche di mercato attestano che un ulteriore incremento della tassazione innescherà nuovi cali nei volumi, penalizzando soprattutto gli operatori istituzionali e gli investitori attivi.
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Minore liquidità e aumento della volatilità: una piazza meno liquida espone i libri di negoziazione a oscillazioni più marcate, rendendo i prezzi meno trasparenti e aumentando il rischio per gli operatori professionali e i risparmiatori.
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Spinta verso strumenti alternativi: molti investitori di lungo periodo, ma soprattutto chi opera strategie ad alta rotazione o trading frequente, tenderanno a privilegiare asset non colpiti da prelievo - ETF esteri, obbligazioni, fondi comuni - sottraendo capitali e business al core delle azioni italiane.
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Spostamento delle sedi sociali: grandi aziende potrebbero seguire la strada già intrapresa da gruppi come Campari o Brembo, spostando la sede legale all'estero pur mantenendo attività operative (e fiscali) in Italia.
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Ripercussioni fiscali inattese: la riduzione dei volumi genera un minor introito in termini di commissioni per gli intermediari e, paradossalmente, un conseguente calo di gettito da imposte ordinarie (Irpef e Ires), che rischiano di più che equilibrare il maggiore incasso diretto della tassazione sulle transazioni.