L'Unione Europea apre un'indagine su Google per l'uso dell'intelligenza artificiale che sfrutta contenuti online di editori e creator senza consenso, suscitando preoccupazioni sulla concorrenza, sui diritti e sulla posizione dominante del colosso tecnologico.
Un nuovo fronte si apre nel delicato equilibrio tra tecnologia, informazione e diritti digitali con l’avvio di un’indagine formale da parte della Commissione europea sull’utilizzo di contenuti online per alimentare le soluzioni di intelligenza artificiale. Il comportamento di una delle principali aziende mondiali nel settore digitale viene così messo sotto la lente: si tratta di una verifica approfondita su pratiche che, secondo gli organi UE, potrebbero compromettere gli equilibri della concorrenza e mettere in discussione modelli di business dei creatori di contenuti e degli editori, elemento essenziale per il pluralismo informativo europeo.
L’indagine prende le mosse da dinamiche che hanno visto l’integrazione accelerata dell’intelligenza artificiale generativa nei servizi digitali ad ampia diffusione. Alcuni degli strumenti in questione elaborano e presentano risposte agli utenti sulla base di dati prelevati da fonti pubblicate da media online e creator. Il punto centrale è se tali dati siano stati utilizzati senza compensazione adeguata per chi li ha prodotti e, soprattutto, senza dare ai titolari dei diritti pieno potere di rifiuto.
Nel dettaglio, i regolatori europei esaminano se siano stati imposti a editori e autori termini contrari al principio dell’equità contrattuale, nonché se siano state rafforzate le barriere per la concorrenza nell’ambito dello sviluppo di modelli IA generativi.
Secondo le analisi in corso, le pratiche contestate concernono l’adozione di termini contrattuali che obbligherebbero chi pubblica online a concedere il diritto di utilizzo dei propri contenuti a chi fornisce i servizi di IA, pena la perdita di accesso a importanti canali distributivi. Per gli operatori, il traffico proveniente dal principale motore di ricerca costituisce una componente strategica di visibilità e dunque di sostenibilità economica.
Viene inoltre indagata la mancanza di trasparenza e di strumenti di opposizione effettivi: agli editori online e ai creator potrebbe non essere mai stata offerta una reale alternativa tra entrare nell’ecosistema digitale e rinunciare al controllo sui propri dati. Diverse fonti sottolineano come chi carica contenuti sulle piattaforme video, ad esempio, debba automaticamente autorizzare la loro utilizzazione anche per il training di modelli IA generativi, senza la possibilità di opt-out e senza riceverne compensi diretti.
Questa situazione non solo solleva interrogativi dal punto di vista della ripartizione del valore creato nei nuovi modelli digitali, ma pone anche questioni di equità concorrenziale: se un singolo player dispone in maniera esclusiva di enormi archivi multimediali per addestrare i propri algoritmi, la dinamica competitiva rischia di essere alterata a monte.
In sintesi, quanto emerge:
Il rischio – secondo Bruxelles – è la trasformazione del mercato digitale in un contesto sempre più sbilanciato a favore di chi gestisce dati e infrastrutture. In questo quadro viene giudicato essenziale stabilire chi ha diritto di accedere alla “materia prima” che alimenta i sistemi generativi e a quali condizioni ciò possa avvenire, tutelando sia la concorrenza sia i titolari dei diritti.
Le piattaforme editoriali e gli autori digitali sono direttamente condizionati dalla possibilità che i loro materiali vengano assimilati dalle tecnologie IA senza vantaggi economici o controllo sulle modalità d’uso. Molti editori sottolineano effetti su:
L’attuale scenario europeo vede un’evidente disparità di accesso ai dati e alle opportunità tra operatori locali ed un unico player multinazionale. L’indagine della Commissione nasce infatti dalla consapevolezza che la combinazione di traffico, archivi e infrastrutture tecnologiche consente una posizione preminente non facilmente replicabile da parte di concorrenti emergenti.
Inoltre, le policy delle principali piattaforme escludono i rivali dalla possibilità di utilizzare gli stessi dataset per l’addestramento delle proprie intelligenze artificiali. L’effetto evidenziato è un rafforzamento dell’asimmetria e una minore pluralità di strumenti, voci e soluzioni disponibili per gli utenti finali e per il mercato dei servizi di IA.
Sul tema sono intervenute personalità istituzionali, rappresentanti delle industrie editoriali e componenti politiche. La vicepresidente esecutiva Teresa Ribera ha sottolineato come "una società libera e democratica si basi su media diversificati, accesso aperto all’informazione e un vivace panorama creativo". Sono emerse valutazioni positive da parte di partiti e associazioni di categoria, che evidenziano la necessità di una nuova regolamentazione per la distribuzione del valore nell’economia digitale.
D’altro canto, i dirigenti delle grandi piattaforme tecnologiche hanno espresso preoccupazioni riguardo al rischio di rallentamento dell’innovazione. Secondo Google, la procedura "potrebbe ostacolare uno scenario sempre più competitivo e in rapida evoluzione".
L'interesse politico, in particolare dopo iniziative parlamentari, ha rafforzato la spinta verso una ridefinizione del quadro normativo in merito a IA generativa e diritti sui contenuti digitali.