Il desiderio di cambiamento è più evidente tra i lavoratori più giovani, in particolare tra coloro che appartengono alla Generazione Z.
Secondo l'European Workforce Study 2025, condotto da Great Place to Work, il nostro Paese si piazza al primo posto per tasso di dipendenti intenzionati a cambiare lavoro: ben il 40% degli italiani intervistati ha dichiarato di voler lasciare la propria azienda entro l'anno. Questa tendenza, che coinvolge quasi un lavoratore su due, assume contorni ancora più significativi se confrontata con i dati degli altri Paesi europei. In Francia e Polonia la percentuale si ferma al 38%, in Portogallo al 37%, in Irlanda al 35%. La Norvegia, al contrario, chiude la classifica con il solo 25%.
Il dato allarmante è che la fuga dalle aziende italiane non è episodica né casuale, ma frutto di un malcontento che ha radici profonde. A pesare è la percezione di una scarsa valorizzazione del proprio ruolo, la mancanza di opportunità di crescita reale e la sensazione di essere incastrati in una routine poco stimolante, spesso priva di riconoscimenti tangibili. Le aziende sembrano non riuscire più a parlare la lingua dei propri dipendenti, e questo disallineamento porta a una disaffezione crescente.
Il desiderio di cambiamento è ancora più evidente tra i lavoratori più giovani, in particolare tra coloro che appartengono alla Generazione Z, ovvero i ragazzi tra i 18 e i 24 anni. In questa fascia d'età, il 40% è già pronto a lasciare il proprio impiego, spesso dopo pochissimi mesi o anni di esperienza. A motivare questa scelta non è solo l'ambizione, ma anche la ricerca di un ambiente più inclusivo, flessibile, tecnologicamente avanzato e attento al benessere individuale. Un'organizzazione che non risponda a questi criteri viene immediatamente percepita come obsoleta, poco attrattiva e, quindi, destinata a essere abbandonata.
Il dato si riduce progressivamente con l'aumento dell'età. Il 36% dei lavoratori tra i 25 e i 34 anni esprime la stessa volontà di cambiare, così come il 30% tra i 35 e i 44 anni. Nella fascia 45-54 si scende al 28% e solo un quarto degli over 55 pensa di rimettersi in gioco. Questa curva decrescente suggerisce che l'instabilità e la mobilità lavorativa sono diventate la normalità per le nuove generazioni, che non identificano più la stabilità lavorativa con la sicurezza, ma con la stagnazione.
In questo scenario, le aziende che ignorano questi segnali rischiano di perdere capitale umano prezioso, soprattutto nei settori innovativi, dove la creatività, la rapidità di apprendimento e la capacità di adattarsi sono risorse essenziali. La sfida non è solo trattenere i giovani, ma offrire loro un contesto professionale in cui possano sentirsi partecipi e protagonisti.
Il fenomeno del turnover ha un costo economico ed emotivo altissimo. Great Place to Work ha calcolato che una media impresa italiana con 100 dipendenti e un tasso di abbandono del 10% sostiene una perdita di circa 200mila euro l'anno solo per sostituzioni e reintegrazione. A questi numeri si aggiunge la perdita di competenze, il rallentamento dei processi, il calo della motivazione tra i colleghi rimasti e il deterioramento della cultura aziendale.
Per invertire la rotta servono azioni concrete, che vadano oltre i benefit di facciata. I dati mostrano che le aziende con un'organizzazione del lavoro ibrida (tra presenza e smart working) riescono a trattenere più facilmente i propri collaboratori: solo il 24% dei dipendenti in modalità ibrida vuole cambiare impiego, contro il 34% di chi lavora solo in sede e il 37% dei full remote. La flessibilità non è un capriccio, ma una leva strategica per il benessere e la produttività.
Ma la vera rivoluzione parte dall'ascolto. Le organizzazioni che investono nella formazione continua, nella definizione di percorsi di carriera chiari e nella creazione di un ambiente in cui ci si senta rispettati e valorizzati, riescono a creare un clima di fiducia che abbatte la voglia di fuga. Il lavoratore del 2025 vuole essere parte di un progetto, non un ingranaggio muto. Vuole relazioni sane, opportunità vere, visibilità e un salario adeguato. Solo chi risponde a queste esigenze potrà dire di essere un great place to work.