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Acqua San Pellegrino in vendita da Nestlè: i possibili acquirenti e scenari

di Marcello Tansini pubblicato il
Acqua San Pellegrino in vendita da Nestl

La possibile vendita di San Pellegrino da parte di Nestlè apre scenari che coinvolgono storia, valore del brand, strategie di mercato, potenziali acquirenti, impatto su lavoratori e territorio, e il significato per l'Italia industriale.

La notizia della messa in vendita della divisione "Waters" di Nestlé, comprendente anche San Pellegrino, ha destato grande attenzione nel panorama industriale italiano e internazionale. Dopo oltre 25 anni di controllo svizzero, il celebre brand nato in Val Brembana si trova al centro di una potenziale transazione che potrebbe ridefinire il mercato delle acque minerali, sia dal punto di vista strategico che simbolico. L’operazione, attesa per l’inizio del 2026 sotto la regia di Rothschild & Co, coinvolge fondi internazionali e investitori italiani su uno scenario di valutazione vicino ai 5 miliardi di euro. In gioco ci sono elementi chiave quali la tutelata occupazionale, il mantenimento della produzione sul territorio nazionale e il destino di un marchio che rappresenta l’eccellenza italiana nel mondo. Le riflessioni sulla possibile chiusura di un’epoca e sull’apertura di nuovi scenari coinvolgono, oltre agli attori economico-finanziari, anche l’opinione pubblica e i professionisti del settore.

La storia e il valore del brand San Pellegrino

Segno distintivo del “made in Italy”, San Pellegrino vanta una storia ultracentenaria iniziata nel 1899, quando fu fondata la Società anonima delle Terme da Cesare Mazzoni. Un percorso che, passando per le intuizioni industriali di Ezio Granelli e Giuseppe Mentasti, ha visto l’introduzione di prodotti iconici come il Bitter e l'acquisizione di Acqua Panna. Dal 1998, il brand è parte del colosso Nestlé, che ne ha favorito l’internazionalizzazione e la trasformazione in simbolo globale dell’eccellenza italiana, in particolare nei mercati dell’alta ristorazione e dell’ospitalità.

San Pellegrino è oggi associato a qualità, esclusività e capacità di evocare il territorio bergamasco e le sue tradizioni. Il gruppo conta quattro stabilimenti produttivi e impiega oltre 1.400 dipendenti, generando ricavi superiori al miliardo di euro. Il marchio viene distribuito in più di 150 Paesi, diventando una presenza costante sulle tavole e nei menu dei migliori ristoranti stellati al mondo, nonché un riferimento fisso per chef, sommelier e maitre.

L’affermazione internazionale è stata costruita anche grazie a partnership di strategico valore, come quella con la Guida Michelin e con i "50 Best Restaurant", che hanno consacrato San Pellegrino come vero e proprio status symbol. Questa reputazione, però, si accompagna al desiderio di molti consumatori e professionisti di vedere preservato il legame autentico tra il marchio e il territorio d’origine.

Le ragioni dietro la decisione di Nestlé: strategia e contesto di mercato

La decisione di Nestlé di valutare la cessione della sua divisione Waters traccia una scelta ben più ampia rispetto a una mera operazione finanziaria. Negli ultimi anni, il gruppo svizzero ha avviato una riduzione del proprio portafoglio marchi, passaggio da oltre 2.000 brand a meno di una trentina di “core brand” globali. Questa strategia punta a concentrare investimenti e risorse sui prodotti ad alta redditività, lasciando da parte asset ritenuti, in prospettiva, meno strategici per il colosso alimentare.

Nel 2024, la divisione acque ha generato circa 3,4 miliardi di euro, rappresentando appena il 3,5% del fatturato complessivo (98 miliardi). Nestlé ha scelto di scorporare le attività legate all’acqua dalla struttura principale già da fine 2024, segnando un chiaro cambio di passo. Le difficoltà legate ai controlli sanitari, in particolare per i brand francesi come Perrier, e l’attenzione pubblica su pratiche industriali hanno contribuito a rafforzare la determinazione ad abbandonare segmenti ritenuti meno centrali.

Alla base della decisione, inoltre, vi sono fattori esogeni come il rallentamento del mercato dovuto all’instabilità geopolitica e all’aumento dei tassi, che hanno reso meno redditizio il comparto e complicato le prospettive di crescita. Un precedente analogo si è avuto nel 2020 con la cessione dei marchi nordamericani, facendo emergere un modello chiaro di razionalizzazione e valorizzazione degli asset. Per il gruppo svizzero, dunque, la vendita delle acque minerali italiane rappresenta sia un’occasione di liquidità sia un modo per semplificare un portafoglio divenuto troppo complesso da gestire e valorizzare.

I possibili scenari di vendita: acquirenti, alleanze e tempistiche

L’operazione è vista come un banco di prova sia per il valore simbolico del marchio sia per la complessità della trattativa. Diversi fondi internazionali – fra cui Pai Partners, CD&R, Blackstone, Platinum Equity e One Rock Capital – hanno mostrato interesse per la divisione. In testa, secondo gli addetti ai lavori, ci sarebbe Pai Partners, già socio di Nestlé nel produttore di gelati Froneri, che potrebbe proporre una soluzione di co-investimento con la stessa Nestlé, ripercorrendo il modello del controllo paritario.

La procedura prevede:

  • Gestione della vendita da parte di Rothschild & Co;
  • Possibilità di cessione dell’intero comparto Waters o, in alternativa, vendita “a pezzi” dei singoli brand
  • Garanzie richieste sui livelli occupazionali e produttivi mantenendo presidi industriali in Italia
  • Valutazione dell’assetto definitivo, con possibili alleanze tra investitori istituzionali e industriali
Tra le tempistiche attese, l’avvio formale della vendita è previsto per l’inizio del 2026. Tuttavia, lo scenario ancora incerto, legato sia all’andamento dei mercati sia alla situazione geopolitica europea, fa supporre che l’asta e la negoziazione possano protrarsi per diversi mesi. L’ipotesi di uno “spezzatino”, cioè di vendite separate per brand, resta sul tavolo, soprattutto qualora non si trovasse un investitore unico disposto ad acquisire l’intera divisione.

Si segnala come, negli scorsi mesi, nessun fondo abbia ancora compiuto passi formali, anche per la contestuale situazione internazionale. Tuttavia, l’appeal di San Pellegrino resta alto sia per investitori stranieri sia per realtà industriali e finanziarie italiane interessate a un eventuale “ritorno a casa” del marchio.

Prospettive per il ritorno in mani italiane e implicazioni industriali

L’ipotesi di un ritorno del controllo italiano su San Pellegrino alimenta un vivace dibattito sul futuro dell’industria alimentare nazionale e sul recupero di asset simbolici del made in Italy. Diverse fonti segnalano l’interesse manifestato da gruppi industriali e finanziari italiani, benché le somme in gioco e la necessità di garanzie occupazionali rendano l’operazione complessa.

Tra i possibili effetti:

  • Rinforzo della filiera produttiva italiana nel comparto alimentare
  • Potenziale incremento degli investimenti in innovazione, ricerca e sviluppo sulle acque minerali italiane
  • Maggiore attenzione a modelli di sviluppo sostenibile e alla valorizzazione del territorio
L’operazione verrebbe letta come segno di fiducia nel sistema produttivo e industriale italiano, potenziando la dimensione nazionale dell’azienda e riposizionando San Pellegrino nell’immaginario collettivo come asset “di casa”. Tuttavia, la presenza di grandi fondi stranieri resta significativa: anche in caso di passaggio di proprietà, sarà determinante definire forme di governance che tutelino sia gli investimenti che il presidio industriale italiano.

Il mantenimento delle attività produttive in Val Brembana e il rispetto degli standard qualitativi dovranno restare punti fermi, mentre la destinazione internazionale del brand non subirà, secondo gli osservatori, bruschi cambiamenti. Sotto la lente anche possibili riflessi nel segmento export, perno strategico della crescita del marchio.

L’impatto su lavoratori, territorio e filiera produttiva

Il destino dei dipendenti e del territorio bergamasco rappresenta una delle principali preoccupazioni legate alla cessione. Con oltre 1.400 lavoratori diretti e un indotto radicato nella provincia di Bergamo e nelle aree di produzione, ogni ipotesi di cambio di proprietà pone il tema delle garanzie occupazionali e della protezione del tessuto sociale ed economico locale.

Gli osservatori segnalano che:

  • Le trattative includono spesso clausole di mantenimento dei livelli occupazionali
  • Il radicamento sul territorio e il legame con la comunità locale rappresentano valori aggiunti per il brand e per la corporate reputation degli acquirenti
  • Le filiere produttive di San Pellegrino e dei marchi controllati, come Acqua Panna e Levissima, garantiscono alta qualità e innovazione continua
Un eventuale investitore italiano potrebbe rafforzare il senso di appartenenza e le sinergie con altri brand nazionali. Tuttavia, anche nel caso di ingresso di fondi esteri, la salvaguardia della filiera produttiva e l’investimento sul territorio sembrano essere condizioni imprescindibili per la buona riuscita dell’operazione, come richiesto da istituzioni locali e dalle organizzazioni di categoria.

Le reazioni del settore Horeca e il ruolo simbolico di San Pellegrino

Il comparto Horeca (Hotel, Ristoranti e Catering) considera San Pellegrino un autentico status symbol. La notizia della possibile cessione è stata accolta con opinioni contrastanti: da un lato la fiducia nella continuità della qualità del prodotto, dall’altro l’auspicio che il cambio di proprietà possa favorire una maggiore scelta e concorrenza nei listini dell’alta cucina.

Alcuni protagonisti del settore hanno evidenziato:

  • Il marchio orobico è ormai sinonimo di eccellenza tra i sommelier e gli chef di tutto il mondo
  • Le partnership con realtà come la Guida Michelin e i "50 Best Restaurant" ne hanno rafforzato il profilo internazionale
  • Il passaggio sotto un controllo italiano viene visto come possibile leva di ulteriore valorizzazione del legame con il territorio
  • Maitre e chef auspicano investimenti in promozione della qualità, innovazione e tutela delle peculiarità organolettiche della sorgente
Diverse testimonianze raccolte tra ristoratori di alto livello mettono in luce come il successo del brand sia stato, fino ad oggi, favorito dall’appartenenza a un grande gruppo internazionale capace di sostenerne la crescita. Tuttavia, molti professionisti auspicano che la vocazione all’eccellenza e il rispetto del senso di appartenenza territoriale restino intatti anche dopo l’eventuale transizione.


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