Per comprendere fino in fondo l'impatto di queste modifiche, è utile analizzare alcuni scenari ipotetici riferiti a un'auto aziendale.
La normativa fiscale sulle auto aziendali a uso promiscuo ha subito una svolta con l'interpello 192 del 2025 dell'Agenzia delle entrate, che sancisce un principio: se la consegna del veicolo avviene dopo il 30 giugno 2025, non importa che il contratto sia stato firmato nel 2024, né che il veicolo fosse stato ordinato in tempo utile per godere dei benefici previsti fino al 31 dicembre 2024. In questo caso, il regime agevolato decade e si applica la tassazione ordinaria sul valore normale del bene, secondo l'articolo 9 del TUIR. Questo concetto comporta una ricaduta diretta e concreta sulla retribuzione netta mensile del dipendente che utilizza l'auto anche per fini privati.
La logica su cui si fondava la precedente disciplina fiscale, che legava la tassazione a una quota forfettaria calcolata in base a percorrenze standard e tabelle Aci, lascia spazio a un calcolo molto più vicino al reale valore di mercato del servizio ricevuto. Di conseguenza, se prima il lavoratore pagava le tasse su una base imponibile ridotta, ora si ritrova a dichiarare un benefit più oneroso.
La particolarità di questa fase transitoria è che, per un arco temporale limitato, coesistono tre regimi fiscali applicabili in base alle condizioni di immatricolazione, contrattualizzazione e consegna del veicolo. Il primo regime, più favorevole, riguarda i veicoli concessi tra il primo luglio 2020 e il 31 dicembre 2024 oppure quelli ordinati entro la fine del 2024 e consegnati entro il 30 giugno 2025: in questi casi, la tassazione continua a basarsi sulle emissioni di CO2, con coefficienti compresi tra il 25% e il 60% applicati a un costo chilometrico standard per una percorrenza convenzionale di 15.000 km annui.
Il secondo regime, in vigore per le assegnazioni effettuate dal primo gennaio 2025, si basa su una classificazione per tipo di alimentazione, premiando i veicoli elettrici e ibridi plug-in con aliquote comprese tra il 10% e il 50%.
La vera rottura si ha con il terzo regime, quello che scatta nel momento in cui il veicolo è stato ordinato con contratto nel 2024, ma viene consegnato al lavoratore dopo il 30 giugno 2025. In questo caso non si può più applicare né il regime in vigore fino a dicembre 2024 né quello previsto dalla legge di Bilancio. Scatta così il principio del valore normale, un concetto che si basa sul valore commerciale effettivo del benefit, determinato a partire da elementi come il canone di leasing, i costi di noleggio o l'ammortamento del veicolo in rapporto all'utilizzo privato.
Per comprendere fino in fondo l'impatto di queste modifiche, è utile analizzare alcuni scenari ipotetici riferiti a un'auto aziendale di media cilindrata con un costo chilometrico stimato ACI di 0,50 euro/km. In regime forfettario, il fringe benefit si calcola moltiplicando questo valore per 15.000 km, ottenendo una base di 7.500 euro annui. A questa si applica il coefficiente previsto: con un'auto a benzina assegnata nel primo semestre 2025, si pagherà il 30%, quindi il reddito imponibile sarà di 2.250 euro all'anno, pari a circa 187 euro al mese. Su questa cifra si calcolano le imposte Irpef (supponiamo il 30%) e i contributi previdenziali (circa il 9,19%), per un impatto netto mensile stimabile in poco più di 70 euro.
Confrontiamo ora lo stesso veicolo se consegnato dopo il 30 giugno 2025: il regime agevolato decade, e si applica il valore normale. Supponendo che il datore di lavoro paghi 8.000 euro l'anno tra leasing e altri costi, e che il dipendente lo utilizzi per metà del tempo per motivi privati, il fringe benefit salirebbe a 4.000 euro annui, ovvero circa 333 euro al mese. L'impatto fiscale si avvicina a 100 euro netti mensili per una perdita secca di circa 30 euro al mese rispetto al regime precedente. L'effetto si amplifica in caso di auto di valore superiore o di uso promiscuo più marcato.
L'unico scenario davvero vantaggioso resta quello delle auto elettriche, che con la nuova normativa post-2025 godono di una tassazione forfettaria ridotta al 10%: in questo caso, la base imponibile si abbassa a 750 euro annui, con un impatto fiscale netto spesso inferiore a 25 euro mensili. Si tratta di un incentivo implicito alla transizione verso la mobilità sostenibile, con benefici fiscali sia per l'azienda che per il lavoratore.