La perdita legata alla mancata rivalutazione delle pensioni si aggira tra i 13 mila euro e i 115 mila euro: chi ha subito e subirà gli effetti peggiori
Negli ultimi decenni, la rivalutazione delle prestazioni pensionistiche è diventata uno dei temi più dibattuti nel panorama previdenziale italiano. La mancata piena indicizzazione delle pensioni rispetto all'inflazione ha determinato una perdita rilevante per molti beneficiari, in particolare per chi ha contribuito maggiormente al sistema. L’adeguamento parziale, insieme ai continui cambiamenti normativi, ha inciso profondamente sul potere d’acquisto dei trattamenti.
In Italia, il principio della perequazione automatica garantisce l'adeguamento degli assegni pensionistici al costo della vita, contrastando l'erosione provocata dall’inflazione. Istituito per conservare la stabilità delle condizioni economiche dei pensionati, questo meccanismo è stato oggetto negli anni di continue revisioni, sospensioni e riforme, spesso motivate da esigenze di contenimento della spesa pubblica più che da valutazioni previdenziali eque.
Dal 1996, la normativa ha previsto sistemi a scaglioni o fasce, mutando sia la percentuale di rivalutazione, sia i criteri di applicazione. La quota più significativa delle pensioni ha goduto di una perequazione piena solo fino a determinati limiti, con restrizioni crescenti per i trattamenti superiori. Le principali tappe evolutive possono essere così sintetizzate:
L’attuale sistema di rivalutazione delle pensioni si basa su percentuali differenziate a seconda dell’importo dell'assegno, calcolate riferendosi al cosiddetto trattamento minimo INPS (per il 2025, pari a circa 598,61 euro al mese). L’adeguamento annuale, fissato secondo i dati ISTAT sull’inflazione, viene applicato secondo questo schema:
Importo pensione | % rivalutazione inflazione |
Fino a 4 volte il minimo | 100% |
Tra 4 e 5 volte il minimo | 90% |
Oltre 5 volte il minimo | 75% |
L’applicazione non avviene per scaglioni ma sulla totalità dell’importo pensionistico, riducendo in misura crescente la percentuale effettiva di rivalutazione per ogni fascia superiore. Per le fasce più basse (minimi e assegni sociali), sono previste occasionalmente maggiorazioni straordinarie.
L’impatto della mancata rivalutazione, secondo gli studi condotti da Itinerari Previdenziali e CIDA, con le maggiori penalizzazioni si è fatto sentire soprattutto per:
Secondo i dati forniti da Itinerari Previdenziali e CIDA, negli ultimi 10-14 anni la perdita cumulata per la fascia delle pensioni medio-alte e alte ha raggiunto cifre considerevoli:
La seguente tabella sintetizza le perdite economiche stimate nei casi paradigmatici, in assenza di piena rivalutazione:
Importo pensione mensile lordo | Perdita in 10 anni | Perdita in 14 anni |
2.500 € | 13.000 € | circa 18.000 € |
5.500 € | 96.000 € | oltre 130.000 € |
10.000 € | 115.000 € | 178.000 € |
Dunque, secondo lo studio di Itinerari Previdenziali, la perdita legata alla mancata rivalutazione sarebbe quantificabile nei prossimi 10 anni in almeno 13 mila euro; valore destinato a salire progressivamente fino ai 115 mila per i percettori di assegni oltre i 10 mila euro lordi (6.000 circa il netto).