La pronuncia della Corte di Cassazione ha approfondito la questione e ha specificato che la presunzione di contitolarità può essere superata.
La gestione dei conti correnti cointestati solleva da sempre interrogativi sulla proprietà effettiva delle somme depositate. Una nuova storica sentenza della Corte di Cassazione ha fatto luce e modificato le interpretazioni precedenti e influenzando le dinamiche legali e pratiche:
L'articolo 1298, comma 2, del Codice Civile, prevede che, nei rapporti interni tra i cointestatari, le parti di ciascuno si presumono uguali, salvo prova contraria. In pratica, pur essendo considerati solidalmente responsabili nei confronti della banca, internamente ciascun cointestatario del conto corrente può dimostrare una diversa ripartizione delle somme.
Con l’ordinanza 1643 del 23 gennaio 2025, la Suprema Corte ha chiarito un principio che potrebbe avere un impatto rilevante nelle cause di divorzio e successione. Anche se il conto è cointestato, il denaro in esso depositato appartiene esclusivamente alla persona che ha effettuato i versamenti.
In particolare, se uno dei cointestatari dimostra, con prove gravi, precise e concordanti, che le somme depositate provengono solo da lui, può rivendicare la proprietà esclusiva di tali fondi. Nonostante la cointestazione, la proprietà delle somme può essere attribuita interamente a uno solo dei titolari, qualora si fornisca adeguata evidenza della provenienza dei fondi.
Questa interpretazione ha conseguenze pratiche. Ad esempio, in caso di separazione o divorzio, un coniuge potrebbe rivendicare la proprietà esclusiva delle somme sul conto cointestato, dimostrando che questi fondi derivano unicamente dal proprio reddito o patrimonio. Allo stesso modo, in situazioni in cui uno dei cointestatari effettua prelievi rilevatni, l'altro potrebbe contestare tali operazioni, sostenendo che le somme appartengono esclusivamente a lui. Per evitare controversie, è consigliabile che i cointestatari mantengano una documentazione accurata delle fonti dei fondi depositati e stabiliscano accordi chiari riguardo all'utilizzo del conto.
Il principio vale anche per le successioni ereditarie. Se un genitore cointesta un conto con un figlio e, in seguito alla sua morte, gli altri eredi contestano la suddivisione dei fondi, sarà necessario provare chi ha effettivamente versato il denaro per stabilirne la titolarità.
Il caso specifico su cui si è pronunciata la Cassazione riguardava una donna che aveva chiesto la restituzione di 200.000 euro, prelevati dal suo ex marito da un conto cointestato. L'ex coniuge sosteneva di avere diritto alla metà del saldo, ma la Corte ha accolto il ricorso della donna, poiché la somma derivava esclusivamente da assegni circolari a lei intestati.
Questo elemento è stato determinante: i giudici hanno stabilito che, poiché la provvista del conto proveniva da un titolo nominativo, il denaro apparteneva esclusivamente alla titolare dell’assegno e non poteva essere considerato una risorsa condivisa tra i due cointestatari.