Le festività soppresse devono essere pagate ai dipendenti pubblici come le ferie non godute: cosa hanno deciso i giudici della Corte di Appello di Milano
La disciplina relativa alla gestione delle ferie non godute e delle festività un tempo riconosciute come "soppresse" rappresenta un aspetto particolarmente delicato nell’ambito del pubblico impiego. Le norme di riferimento tutelano il diritto dei lavoratori al riposo annuale retribuito. Nel corso degli anni, si è sviluppato un importante contenzioso riguardante il riconoscimento economico delle ferie e delle festività soppresse non godute, soprattutto nei casi in cui l’Amministrazione non abbia comunicato in modo formale ai dipendenti i termini e le modalità per la fruizione, o non abbia informato adeguatamente sulle conseguenze di una mancata richiesta. Recenti pronunce giudiziarie, come quella della Corte d’Appello di Milano, hanno contribuito a chiarire la situazione.
La sentenza n. 1013/2025 della Corte d’Appello di Milano rappresenta un punto di svolta nelle controversie relative alla mancata fruizione delle ferie e delle festività soppresse da parte dei lavoratori del settore pubblico. Il caso oggetto di giudizio ha preso le mosse dal ricorso presentato da un docente a tempo determinato che, pur avendo maturato nel tempo diversi giorni di ferie e di festività soppresse, non aveva potuto usufruirne e non aveva ricevuto alcuna indennità sostitutiva alla cessazione del rapporto.
In primo grado, la domanda era stata respinta, ma la Corte milanese ha ribaltato il verdetto, condannando il Ministero dell'Istruzione e del Merito al pagamento di una somma superiore a 5.200 euro e delle relative spese, sia legali che accessorie, ribadendo l’obbligo dell’Amministrazione di agire in maniera inequivocabile e documentabile.
La motivazione dei giudici si fonda sull’interpretazione del diritto nazionale ed europeo, che riconoscono il riposo annuale retribuito (e di conseguenza anche il godimento delle ex festività soppresse) come un diritto primario del lavoratore.
La Corte ha sancito che la semplice possibilità astratta di fruire delle ferie non equivale a una rinuncia effettiva: è necessaria invece una condotta attiva dell’Amministrazione, consistente in un invito formale e dettagliato. Ne emerge una responsabilità datoriale della Pubblica Amministrazione, che deve dimostrare di aver permesso concretamente la fruizione dei giorni spettanti, e informare sulle ricadute dell’inerzia.
La giurisprudenza recente ha sottolineato in maniera dettagliata che l’onere di garantire il diritto al riposo spetta in modo primario all’Amministrazione pubblica. Quest’ultima ha precise responsabilità non solo nel consentire formalmente ai dipendenti di usufruire di ferie sul lavoro e festività non più riconosciute come tali, ma soprattutto nell’informarli tempestivamente e in modo inequivocabile riguardo alle modalità di fruizione e alle possibili conseguenze economiche della mancata richiesta. L'iter da seguire deve, dunque, essere il seguente:
Se il datore di lavoro pubblico non ha invitato formalmente il dipendente ad usufruire delle festività soppresse e non ha chiaramente illustrato le conseguenze del loro mancato godimento, si configura l’obbligo di corrispondere la relativa indennità sostitutiva.
Questo principio, evidenziato con particolare chiarezza nella sentenza n. 1013/2025, determina una netta uniformità di trattamento tra ferie e festività soppresse, eliminando ogni disparità tra istituti e rafforzando il diritto alla monetizzazione in tutti i casi in cui vi sia stato un comportamento omissivo dell’Amministrazione.
Nell’ottica della tutela dei diritti dei lavoratori, viene quindi confermata una posizione di garanzia che impedisce che i diritti si estinguano per semplice inerzia o per ragioni organizzative non adeguatamente comunicate. L’indennità sostitutiva deve essere equiparata, nei criteri di calcolo e nei presupposti di riconoscimento, a quella prevista per le ferie ordinarie, rispettando le pronunce anche dalla Corte di Cassazione in merito all’inclusione di tutte le componenti retributive legate alle mansioni contrattuali, per evitare ogni penalizzazione economica che scoraggerebbe l’effettivo esercizio del diritto al riposo. L’applicazione di questi principi rappresenta un ampliamento della tutela e determina la necessità di un adeguamento nelle prassi gestionali di tutti gli enti pubblici.
L’efficacia della sentenza della Corte d’Appello di Milano non si limita al singolo caso o al solo ambiente scolastico. I chiarimenti forniti dalla giurisprudenza hanno valore per tutti i lavoratori pubblici a tempo determinato, dai comparti locali alla sanità, fino agli uffici dello Stato. Il principio affermato dalla magistratura prevede che l’Amministrazione non solo debba consentire la fruizione dei giorni, ma debba anche informare in modo proattivo e documentabile, a pena della perdita stessa del diritto a non corrispondere l’indennità sostitutiva.
Questo orientamento comporta la necessità, per la Pubblica Amministrazione, di rivedere e rafforzare le proprie prassi interorganizzative, ponendo in atto procedure specifiche per avvisare e sollecitare correttamente i dipendenti. Gli effetti della sentenza potranno tradursi in una nuova stagione di ricorsi giudiziari, ma soprattutto nell’adozione strutturata di comportamenti conformi ai principi di trasparenza e tutela dei lavoratori, anche in ottemperanza agli obblighi previsti dalla normativa comunitaria.