La possibilità per le aziende di operare trattenute sullo stipendio o sul Trattamento di Fine Rapporto (TFR) rappresenta un tema di grande rilevanza, specialmente alla luce delle più recenti pronunce giurisprudenziali.
Dopo diversi pronunciamenti della Cassazione, spicca ora in tal senso una recente sentenza del Tribunale del Lavoro di Napoli, che ha delineato i confini della legittimità di tali trattenute.
Obblighi di preavviso e trattenute legittime: la nuova sentenza del Tribunale di Napoli
La sentenza n. 5476/2025 del Tribunale del Lavoro di Napoli ha riaffermato il principio secondo cui il datore di lavoro può, in specifiche circostanze, effettuare trattenute sul TFR in modo autonomo e senza necessità di autorizzazione giudiziale.
In particolare, la pronuncia riguarda il caso del dipendente che rassegna le dimissioni senza rispettare il necessario periodo di preavviso, che è stabilito da ogni contratto collettivo nazionale di riferimento (CCNL) e tutela entrambe le parti: garantisce, infatti, al lavoratore un termine certo per la ricerca di altra occupazione e al datore di lavoro il tempo di riorganizzare l’attività produttiva.
- Inadempienza del preavviso: la mancata osservanza di questo obbligo fa sorgere, ex lege, un debito a carico del lavoratore, pari all’indennità sostitutiva del preavviso, la cui entità corrisponde generalmente alla retribuzione spettante per il periodo di preavviso non rispettato.
- Compensazione diretta: il datore di lavoro può detrarre tale indennità direttamente dalle somme dovute al lavoratore a titolo di TFR, esercitando una forma di "compensazione interna" prevista dalla normativa. Questa operazione può avvenire senza ulteriore consenso del dipendente né specifiche autorizzazioni giudiziarie, per effetto delle norme civilistiche che regolano i rapporti obbligatori nascenti dal medesimo rapporto.
- Limiti e requisiti: la trattenuta è legittima se supportata dalla certezza e quantificazione del credito vantato dal datore di lavoro. È essenziale che il calcolo sia preciso, applicando il criterio della retribuzione spettante.
In ogni caso, il datore di lavoro o l’azienda ha sempre il dovere di informare il dipendente in modo trasparente e di documentare in forma scritta la trattenuta effettuata.
Come funziona la compensazione tra debiti e crediti alla cessazione del rapporto di lavoro
Nella fase di chiusura del rapporto lavorativo possono emergere posizioni creditorie reciproche tra azienda e dipendente. Ai sensi della vigente disciplina, quando debiti e crediti derivano dal medesimo rapporto di lavoro, prevale il cosiddetto "mero accertamento del dare e avere" secondo l’indirizzo della giurisprudenza consolidata.
- Credito del lavoratore: diritto al TFR maturato fino alla data di cessazione del rapporto.
- Credito del datore: riguarda tipicamente l’indennità per il mancato preavviso, ma può comprendere altri importi, purché certi, liquidi ed esigibili.
L’azienda può compensare i due importi senza dover ricorrere alle procedure formali di compensazione prevista dal Codice Civile. La prassi prevede, per esempio, che se un lavoratore ha maturato un TFR di 9.000 euro e deve 1.500 euro a titolo di mancato preavviso, riceverà una liquidazione finale di 7.500 euro. Tale compensazione risulta ammissibile solo quando entrambi i crediti presentano caratteristiche di certezza, liquidità e esigibilità, evitando così qualsivoglia contestazione.
Altri casi di trattenuta lecita da parte dell’azienda: stipendi erroneamente pagati e danni a strumenti aziendali
Al di là delle fattispecie connesse al preavviso, la disciplina permette ulteriori ipotesi di trattenuta giustificata sulla retribuzione o sul TFR, purché il credito aziendale sia inconfutabile.
- Pagamenti indebiti: qualora, nel corso del rapporto, siano stati corrisposti erroneamente stipendi o somme non dovute, l’azienda può trattenere l’importo dell’indebito, a condizione che la sussistenza e l’entità dell’errore siano provate e comunicate tempestivamente al lavoratore.
- Danni a strumenti aziendali: in presenza di risarcimenti dovuti a danneggiamenti arrecati a beni aziendali (ad esempio mezzi, dispositivi informatici), il datore può agire in via di compensazione, sempre nel rispetto dei presupposti di certezza e quantificazione del danno.
Pignorabilità dello stipendio e del TFR: limiti previsti dalla legge e differenze tra tipi di credito
La normativa italiana pone limiti precisi alla pignorabilità dello stipendio e del TFR per salvaguardare condizioni minime di sussistenza del lavoratore. La normativa vigente stabilisce
percentuali massime pignorabili secondo la natura del credito vantato dal terzo.
- Debiti ordinari: sia sullo stipendio che sul TFR il limite pignorabile è generalmente fissato al 20%.
- Crediti alimentari: possono comportare pignoramenti fino al 50% sul TFR.
- Debiti fiscali: per importi dovuti all’Agenzia delle Entrate, il limite è pari al 30%, in base anche a scaglioni previsti dall’Agenzia delle Entrate Riscossione.
Le differenze emergono in relazione alla natura del debito: i crediti alimentari, come assegni di mantenimento, sono considerati prioritari e possono assorbire una quota più elevata rispetto ai debiti civilistici o finanziari. In caso di coesistenza di più pignoramenti, la legge prevede criteri di cumulabilità e assegnazione in base alla tipologia di credito.
Tipo di credito |
Limite massimo pignorabile |
Debiti ordinari (prestiti, finanziamenti) |
20% |
Debiti alimentari |
fino al 50% |
Debiti fiscali |
fino al 30% |
Le procedure di pignoramento: dal tribunale al datore di lavoro, fino al conto corrente
Il procedimento di pignoramento presso terzi si avvia in seguito a un provvedimento giudiziale che assegna al creditore il diritto di riscuotere parte delle somme spettanti al lavoratore. Queste procedure coinvolgono generalmente:
- Pignoramento presso il datore di lavoro: il giudice emette un ordine notificato al datore, che è tenuto a trattenere l’importo e trasferirlo direttamente al creditore, nel rispetto delle percentuali legali previste.
- TFR accantonato in azienda: la quota pignorata viene calcolata al momento della liquidazione, avvalendosi delle stesse regole applicate agli stipendi.
- Pignoramento sul conto corrente: se il TFR è stato già liquidato e accreditato sul conto del lavoratore, il pignoramento può aggredire la totalità della somma eccedente il triplo dell’assegno sociale, con regole più restrittive a tutela del dipendente.
- Fondi pensione: il TFR destinato a strumenti previdenziali è generalmente impignorabile, salvo specifiche eccezioni per debiti alimentari.
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