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Lavoro di domenica, maggiorazione stipendio c' sempre anche se il CCNL non lo prevede grazie a sentenza n.31712 2024

di Marianna Quatraro pubblicato il
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lavoro domenica maggiorazione

Cosa prevede la nuova sentenza della Cassazione sul lavoro svolto di domenica: il caso e la decisione dei giudici a favore dei lavoratori

Il lavoro effettuato nei giorni festivi ha, per legge, quasi sempre diritto a ottenere maggiorazioni e riposi compensativi. Questa previsione è spesso riportata nei diversi contratti collettivi nazionali di lavoro (CCNL), che definiscono puntualmente le percentuali maggiorative da calcolare sulla retribuzione. Tuttavia, non tutti i CCNL prevedono tali maggiorazioni. La questione è stata affrontata dalla Corte di Cassazione con una sentenza che stabilisce un importante principio a tutela dei lavoratori.

La sentenza della Cassazione sul lavoro di domenica

Con la sentenza n. 31712, la Corte di Cassazione ha stabilito un principio fondamentale: il lavoro prestato di domenica deve essere sempre retribuito con una maggiorazione, anche se il contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL) di assunzione non lo prevede espressamente.

Secondo i giudici, il lavoro prestato nella giornata di domenica, anche nell'ipotesi di differimento del riposo settimanale in un giorno diverso, deve essere in ogni caso compensato con una maggiorazione retributiva, anche quando quest'ultima non è contemplata dalla contrattazione collettiva.

In tal caso, la maggiorazione viene determinata dal giudice e può consistere anche in benefici non necessariamente economici, ma comunque rappresentanti un quid pluris (qualcosa in più) rispetto alla normale retribuzione.

Il caso che ha portato alla sentenza

La sentenza si è resa necessaria per un caso specifico. Protagonista è stato un gruppo di lavoratori con mansioni di pulitori turnisti presso un aeroporto, che si è rivolto al giudice per vedersi riconosciuta una maggiorazione sulle ore lavorative domenicali.

I lavoratori hanno sostenuto che il CCNL applicato (Multiservizi) concedeva solo un riposo compensativo, senza alcuna indennità economica per i sacrifici umani e familiari legati all'attività lavorativa effettuata di domenica. In sostanza, il contratto prevedeva solamente lo spostamento del giorno di riposo, senza alcun vantaggio aggiuntivo per compensare il disagio di lavorare in un giorno tradizionalmente dedicato al riposo e alla famiglia.

Il giudice di merito ha accolto la richiesta e ha stabilito l'applicazione di una maggiorazione del 30% sulle ore svolte di domenica. La Cassazione ha confermato tale orientamento, ritenendolo conforme ai principi generali dell'ordinamento in materia di tutela del lavoro.

La motivazione della Corte di Cassazione

I giudici della Suprema Corte hanno rilevato che la semplice traslazione del giorno di riposo non comporta alcun quid pluris in termini di vantaggio economico o indennizzo di altra natura per il lavoratore occupato di domenica.

La Corte ha sottolineato che il lavoro domenicale ha una particolare penosità che deve essere riconosciuta e compensata. Questa penosità deriva dal fatto che la domenica è tradizionalmente un giorno dedicato al riposo, alle relazioni familiari e sociali. Lavorare in questo giorno comporta un sacrificio che va oltre la normale prestazione lavorativa e che incide significativamente sulla qualità della vita del lavoratore.

Per questo motivo, secondo la Cassazione, è necessario che tale sacrificio sia adeguatamente riconosciuto, anche quando il contratto collettivo non prevede espressamente una maggiorazione.

Implicazioni per i lavoratori

Questa sentenza rappresenta un'importante affermazione dei diritti dei lavoratori. Stabilisce infatti che, indipendentemente da quanto previsto dal CCNL applicato, chi lavora di domenica ha diritto a una compensazione adeguata per la particolare gravosità di tale prestazione.

I lavoratori che si trovano nella condizione di dover prestare attività lavorativa di domenica, senza ricevere alcuna maggiorazione retributiva, possono fare riferimento a questa sentenza per richiedere un trattamento economico più favorevole.

È importante sottolineare che la maggiorazione non deve essere necessariamente economica, ma può consistere anche in altri benefici, come ad esempio giorni di ferie aggiuntivi o altre forme di compensazione. L'essenziale è che vi sia un riconoscimento concreto del sacrificio richiesto al lavoratore.

Il trattamento del lavoro domenicale nei diversi CCNL

Molti contratti collettivi nazionali di lavoro prevedono già specifiche maggiorazioni per il lavoro domenicale. Ecco alcuni esempi:

  • CCNL Commercio: maggiorazione del 30% sulla retribuzione ordinaria;
  • CCNL Alimentaristi: maggiorazione del 50%, che scende al 10% qualora il dipendente scelga di avvalersi del riposo compensativo;
  • CCNL Autotrasporti: maggiorazione del 20% per i turni diurni domenicali (più il diritto al riposo compensativo) e del 50% per i turni notturni;
  • CCNL Calzature: maggiorazione del 50% per i turni diurni, 60% per quelli notturni;
  • CCNL Carta: maggiorazione dell'80% per chi lavora la domenica (più il diritto al riposo compensativo);
  • CCNL Meccanica: maggiorazione del 50% per il lavoro festivo nel turno diurno, del 60% per quello notturno.
Tuttavia, come evidenziato dalla sentenza della Cassazione, anche in assenza di specifiche previsioni contrattuali, il lavoratore ha comunque diritto a una maggiorazione per il lavoro domenicale.

Quadro normativo di riferimento

Per comprendere meglio la questione, è utile richiamare il quadro normativo relativo al riposo settimanale e al lavoro e festivi, leggi in vigore, normativa e contratti nazionali.

L'art. 36 della Costituzione sancisce il diritto del lavoratore al riposo settimanale, mentre l'art. 2109 del Codice Civile stabilisce che tale riposo deve coincidere normalmente con la domenica.

L'art. 9 del D.Lgs. n. 66/2003 prevede che "Il lavoratore ha diritto ogni sette giorni a un periodo di riposo di almeno ventiquattro ore consecutive, di regola in coincidenza con la domenica". Lo stesso decreto consente però di fissare il riposo settimanale in un giorno diverso dalla domenica per determinate categorie di lavoratori, come quelli impiegati in attività a ciclo continuo o in servizi di pubblica utilità.

La Legge n. 370/1934, ancora in vigore per alcuni aspetti, stabilisce che "al personale occupato per tutta o una parte della domenica spetta, oltre al riposo per il periodo residuo, un riposo di durata uguale alle ore di lavoro eseguite nella domenica e, in ogni caso, non inferiore a 12 ore consecutive".

Chi può rifiutarsi di lavorare di domenica

In linea generale, il lavoro domenicale può essere richiesto dal datore di lavoro quando previsto dal contratto individuale o dal CCNL applicato. Tuttavia, esistono alcune categorie di lavoratori che possono legittimamente rifiutarsi di prestare attività lavorativa di domenica:

  • Genitori con figli a carico fino a 3 anni, indipendentemente da chi tra madre o padre ne detenga l'affidamento;
  • Lavoratori che assistono persone con disabilità conviventi o non autosufficienti titolari di assegno di accompagnamento;
  • Lavoratori portatori di handicap o non autosufficienti, tutelati dalla legge 104 che permette di non lavorare al sabato e domenica.
Queste eccezioni sono generalmente previste dai CCNL, come nel caso del CCNL Commercio, e riflettono l'esigenza di tutelare situazioni familiari o personali particolarmente delicate.

L'orientamento giurisprudenziale consolidato

La sentenza n. 31712 si inserisce in un orientamento giurisprudenziale già consolidato. La Corte di Cassazione, infatti, ha più volte affermato il principio secondo cui il lavoro prestato nella giornata di domenica, anche nell'ipotesi di differimento del riposo settimanale in un giorno diverso, deve essere compensato con un quid pluris.

Già con precedenti pronunce (sentenze n. 21626/2013, n. 24682/2013, n. 12318/2011, n. 2610/2008), la Suprema Corte aveva stabilito che tale compensazione, ove non prevista dalla contrattazione collettiva, può essere determinata dal giudice e può consistere anche in benefici non necessariamente economici.

Questo orientamento si fonda sul riconoscimento del valore sociale e personale del riposo domenicale, che rappresenta non solo un momento di recupero fisico, ma anche un'opportunità per coltivare relazioni familiari e sociali.

La distinzione tra mancato riposo e riposo differito

La giurisprudenza distingue tra due situazioni diverse:

  • La perdita definitiva del riposo settimanale, che si verifica quando il lavoratore non usufruisce del riposo nemmeno in un arco temporale maggiore di sette giorni;
  • Il semplice differimento del riposo in un giorno diverso dalla domenica.
Nel primo caso, al lavoratore spetta sia la retribuzione per il lavoro prestato (con le relative maggiorazioni) sia il risarcimento del danno per l'usura psico-fisica derivante dalla mancata fruizione del riposo.

Nel secondo caso, invece, il lavoratore ha diritto alla sola maggiorazione per la particolare penosità del lavoro domenicale, in quanto il riposo, seppur differito, viene comunque goduto.

Implicazioni per le aziende

La sentenza della Cassazione ha importanti implicazioni anche per le aziende. Queste ultime, infatti, devono essere consapevoli che il mancato riconoscimento di una maggiorazione per il lavoro domenicale può essere fonte di contenzioso, con conseguenti rischi di condanna al pagamento di somme arretrate e delle relative spese legali.

È quindi opportuno che le aziende, anche in assenza di specifiche previsioni nel CCNL applicato, riconoscano comunque una adeguata compensazione ai lavoratori che prestano attività lavorativa di domenica.

Tale compensazione può essere concordata a livello aziendale, attraverso la contrattazione collettiva di secondo livello, o può essere stabilita unilateralmente dal datore di lavoro. L'importante è che vi sia un riconoscimento concreto della particolare penosità del lavoro domenicale.

In ogni caso, la sentenza della Cassazione rappresenta un importante riferimento per la corretta gestione dei rapporti di lavoro e per la tutela dei diritti dei lavoratori.

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