Il principio guida resta quello del favor praestatoris ovvero la tutela più ampia possibile del lavoratore.
Sono entrate in vigore le nuove disposizioni sul periodo di prova nei contratti a termine, introdotte dalla legge 203 del 13 dicembre 2024, nota come Collegato Lavoro. A chiarire e rendere operative queste novità è intervenuta la circolare 6 del 2025 emanata dal Ministero del Lavoro, che dettaglia i criteri applicabili alla durata del periodo di prova nei rapporti a tempo determinato.
Il criterio stabilito dalla normativa è basato su un rapporto fisso: un giorno di prova per ogni quindici giorni di calendario effettivo di durata del contratto. Il principio si applica a partire dal giorno di inizio del rapporto lavorativo e non consente margini di interpretazione da parte del datore di lavoro. La norma introduce limiti minimi e massimi: per i contratti con durata fino a sei mesi, il periodo di prova deve essere compreso tra due e quindici giorni; se invece il contratto ha una durata compresa tra sei e dodici mesi, il limite massimo sale a trenta giorni, mentre la durata minima segue comunque il calcolo proporzionale.
La legge stabilisce un meccanismo proporzionale e predefinito, che sostituisce le precedenti formulazioni più generiche per evitare abusi o eccessi nella definizione del periodo di prova nei contratti a termine, troppo spesso usato in modo discrezionale. Approfondiamo quindi:
Il principio guida resta quello del favor praestatoris ovvero la tutela più ampia possibile del lavoratore. In questo contesto, la durata ridotta del periodo di prova è una forma di protezione, perché abbrevia il tempo entro il quale il lavoratore può essere licenziato senza preavviso né motivazione. Di conseguenza, qualsiasi norma contrattuale che preveda un periodo di prova più lungo dei limiti di legge è da considerarsi illegittima poiché peggiorativa.
Se il contratto collettivo applicato dall'azienda prevede una prova di venti giorni per un contratto di sei mesi, la previsione non può essere applicata. In assenza di norme collettive più favorevoli, prevalgono le regole generali fissate dalla legge 203 del 2024. Ma se il contratto collettivo riduce il periodo massimo previsto dalla legge, questa riduzione sarà valida e vincolante. Il sistema si basa su un doppio binario: da un lato il quadro normativo stabilisce soglie invalicabili, dall'altro consente alla contrattazione di settore o aziendale di offrire trattamenti più vantaggiosi per i dipendenti.
Una delle novità emerse dai chiarimenti ministeriali riguarda i contratti a termine superiori ai dodici mesi. In questi casi, la legge non fissa alcun limite massimo alla durata del periodo di prova. Questo vuoto normativo consente i estendere la prova anche oltre i trenta giorni, purché sia previsto in modo esplicito e ragionevole. La circolare suggerisce che, pur in assenza di un tetto, sia opportuno attenersi a criteri di proporzionalità e buona fede, anche per evitare contenziosi o interpretazioni restrittive da parte dei giudici del lavoro.
La durata del periodo di prova va calcolata solo sui giorni effettivamente lavorati e non su quelli di calendario in senso ampio. Questo dettaglio ha implicazioni pratiche rilevanti: ad esempio, se durante il periodo iniziale il lavoratore è assente per malattia, ferie o permessi, il computo del periodo di prova si sospende e riprende solo al rientro in servizio.
La normativa si applica a tutti i contratti a tempo determinato stipulati dal 12 gennaio 2025 in avanti. I contratti già in essere prima di tale data restano soggetti alle regole previgenti, salvo specifiche modifiche o proroghe successive che comportino l'applicazione delle nuove disposizioni.