La sentenza n. 10693 del 23 aprile 2025 della Corte di Cassazione ha stabilito che, ai fini Iva, le prestazioni di servizi si considerano effettuate all’atto del pagamento del corrispettivo: le conseguenze e gli effetti
La Corte di Cassazione ha stabilito un'importante novità per la gestione dell’imposta sul valore aggiunto nelle operazioni di prestazione di servizi. L’attenzione si concentra in particolare sul caso in cui venga emessa una fattura che, tuttavia, non viene saldata dal cliente. Secondo la recente sentenza n. 10693 del 2025, l’obbligo di versamento dell’IVA non scatta automaticamente se il compenso non viene incassato, tutelando così i soggetti passivi IVA da pretese tributarie legate a crediti inesigibili.
La normativa vigente prevede una distinzione tra il momento in cui nasce l’obbligazione tributaria, noto come "fatto generatore", e quello in cui l’imposta diventa esigibile. Per quanto riguarda le prestazioni di servizi, l’esecuzione materiale del servizio costituisce il fatto generatore dell’IVA: nei libri contabili, la prestazione va registrata non appena conclusa l’operazione.
L’esigibilità, invece, coincide con l'avvenuto pagamento del corrispettivo. Fino a questo momento, l’obbligo di versamento dell’imposta resta sospeso. La differenza tra questi due momenti è di primaria importanza:
Secondo i giudici, l’Amministrazione finanziaria non può limitarsi a riscontrare una mera irregolarità contabile per giustificare un recupero a tassazione. Diventa onere del Fisco, infatti, dimostrare che il corrispettivo è stato incassato, anche per equivalente, o che esista un comportamento doloso orientato a sottrarsi all’adempimento dell’obbligo di fatturazione.
Ciò significa che il mancato incasso della fattura blocca, di fatto, l’esigibilità dell’IVA. La conseguenza diretta della sentenza riguarda sia la tutela dell’equilibrio di bilancio delle imprese sia una maggiore trasparenza nei controlli fiscali. I professionisti possono così evitare l’insorgenza di debiti tributari non giustificati da entrate reali, facendo riferimento alla documentazione prodotta e alle rilevazioni contabili che attestano la mancata riscossione.
Uno degli aspetti centrali sottolineati dalla sentenza è il riparto dell’onere della prova nei procedimenti fiscali relativi all’omesso versamento dell’imposta quando la fattura resta non pagata. Se un contribuente viene contestato per non aver emesso la fattura o non aver versato l’IVA, l'Agenzia delle Entrate deve accertare, attraverso riscontri documentali o presuntivi, che il compenso sia stato effettivamente ricevuto.
Non sono sufficienti evidenze meramente formali come la presenza di un credito nella contabilità, per esempio nelle voci "fatture da emettere" o "crediti da riscuotere". Occorre una dimostrazione ulteriore che attesti con certezza l’introito, che può provenire anche da pagamenti in natura o per equivalente, o la volontà dolosa di eludere il tributo.
E' stato, infatti, stabilito che:
Il quadro sanzionatorio si modifica, prevedendo che l’omessa fatturazione può comportare sanzioni amministrative solo se viene provata una condotta intenzionale di evasione o di dissimulazione del debito tributario.