Uno dei punti di forza del mercato high yield sono i fondamentali aziendali più robusti rispetto al passato.
Le obbligazioni High Yield globali hanno sorpreso anche gli investitori più esperti. Hanno ottenuto rendimenti assoluti superiori a quelli delle azioni, ma lo hanno fatto con una volatilità più contenuta. Questo dato è stato ribadito di recente da Robert Tipp, Chief Investment Strategist di PGIM Fixed Income, che ha sottolineato come il rapporto di Sharpe dell’high yield globale sia storicamente più favorevole rispetto a quello dell’equity, a parità di orizzonte temporale.
Quando il mercato entra in una fase ribassista emergono le differenze. Secondo l’analisi storica, i crolli medi dell’high yield globale si attestano intorno all’11%, mentre i mercati azionari globali hanno registrato, negli stessi periodi, discese ben più profonde, con una media del 26%. A questo si aggiunge un altro dato rilevante: il tempo medio di recupero. Le obbligazioni ad alto rendimento tornano in media ai livelli pre-crisi in circa sette mesi, contro i diciotto e mezzo delle azioni, rendendo l’asset class particolarmente interessante per chi cerca recuperi rapidi e maggiore stabilità.
Analizzando i flussi e i dati storici a partire dal 1987, emerge che nei periodi in cui il rendimento dell’high yield globale si colloca tra il 7% e l’8%, nel 90% dei casi l’anno successivo registra un guadagno positivo. In altre parole, la probabilità di rendimento è storicamente molto alta quando i tassi raggiungono certe soglie, come sta accadendo in questo momento. Il valore attuale di oltre il 7% è un punto d’ingresso statisticamente favorevole per gli investitori che puntano su reddito stabile e potenziale rivalutativo.
Negli ultimi anni, l’equity globale ha registrato una crescita più rapida rispetto agli utili aziendali. Questo ha prodotto un evidente squilibrio nelle valutazioni: i multipli prezzo/utili sono aumentati, mentre i rendimenti da dividendo e da utili si sono ridotti progressivamente.
Il risultato è un rendimento implicito più basso per le azioni, a fronte di rischi sempre più accentuati legati alla volatilità macroeconomica, ai tassi e alle tensioni geopolitiche. Questo scenario ha spinto molti investitori istituzionali a guardare con nuovo interesse verso il mondo obbligazionario, in particolare verso la componente high yield, in passato considerata più speculativa.
Se si confronta il rendimento delle obbligazioni high yield statunitensi con quello degli utili medi delle azioni USA, emerge un divario sorprendente. Robert Tipp calcola che il differenziale attuale ha raggiunto i quattro punti percentuali, un livello ben al di sopra della media storica. Questa sproporzione ha reso l’high yield più competitivo, dal punto di vista della valutazione relativa, rispetto all’equity. Una simile condizione non si osservava con questa intensità dalla fine degli anni Novanta, alla vigilia dello scoppio della bolla tecnologica.
Questa situazione ha spinto molti gestori patrimoniali a rivedere le strategie di asset allocation, reintroducendo con maggiore peso l’high yield nei portafogli multi-asset. Non si tratta solo di diversificazione, ma di ricerca attiva di valore in un contesto in cui le azioni appaiono sempre più costose, e le obbligazioni investment grade offrono poco rendimento netto. In quest’ottica, l’high yield viene percepito come un compromesso virtuoso tra redditività e rischio, capace di adattarsi anche a scenari di soft landing o bassa crescita globale.
Uno dei punti di forza del mercato high yield sono i fondamentali aziendali più robusti rispetto al passato. Le società emittenti hanno migliorato il rapporto tra utili e servizio del debito. Gji upgrade dei rating hanno superato i downgrade fino al primo trimestre del 2025, con una tendenza ancora positiva nella prima parte dell’anno.
Secondo le ultime analisi di Deutsche Bank, nel 2025 il tasso globale di default potrebbe scendere dal 4,7% al 4,4%, mentre nel 2026 potrebbe tornare a salire leggermente fino a valori tra il 4,8% e il 5,5%, a seconda degli scenari macroeconomici. In Europa, JPMorgan stima un aumento più moderato, dal 3,3% al 5% circa. Anche nello scenario più pessimista, i tassi di default restano al di sotto delle soglie critiche storiche, rendendo l’high yield ancora sostenibile e gestibile, soprattutto in un’ottica selettiva e di diversificazione settoriale.
Il cambiamento strutturale più rilevante riguarda la composizione interna del mercato: la quota di bond con rating BB (la fascia più alta dell’high yield) è passata dal 40% pre-crisi finanziaria globale all’attuale 55%, mentre è diminuita la porzione di titoli con rating B o CCC. Questo innalzamento qualitativo modifica il profilo di rischio dell’intero compart e lo rende più adatto anche agli investitori istituzionali con vincoli prudenziali più stringenti.