Maggioranza e opposizioni convergono sulla necessità di garantire alle donne un’uscita più flessibile dal lavoro e si va verso una nuova proroga di Opzione donna
L’evoluzione della normativa pensionistica italiana rappresenta un terreno di confronto tra governi, opposizioni e società civile, specialmente quando si tratta di strumenti pensati per la flessibilità in uscita dal lavoro. Le modifiche recenti, i tentativi di proroga e i dibattiti attorno alle risorse pubbliche mostrano quanto sia centrale il tema del pensionamento anticipato per le lavoratrici. In questo contesto, l’emendamento bipartisan dedicato al rinnovo dell’anticipo pensionistico riservato alle donne, noto come "Opzione Donna", occupa una posizione rilevante nella discussione parlamentare sulla Manovra 2026.
Il meccanismo di anticipo pensionistico delle lavoratrici, introdotto in via sperimentale diversi anni fa e progressivamente rinnovato, ha permesso a numerose donne di lasciare il lavoro in anticipo rispetto ai requisiti ordinari. Opzione Donna consente, a fronte dell’adozione del metodo di calcolo contributivo dell’assegno, di uscire dal mondo del lavoro con almeno 35 anni di contributi e un’età di 61 anni, abbassata di un anno per ogni figlio (fino a un massimo di due anni). Inizialmente, la platea era molto più ampia e i requisiti d’accesso meno rigidi.
Negli ultimi anni, tuttavia, il legislatore ha progressivamente ristretto le condizioni per poter usufruire di questo anticipo, legandole a situazioni personali particolarmente delicate: ad esempio la condizione di caregivers, la presenza di un’invalidità pari o superiore al 74%, oppure la perdita del posto di lavoro in seguito a crisi aziendali.
Come chiarito sall'Inps, la decorrenza della pensione avviene dopo una "finestra mobile" di 12 mesi per le dipendenti e 18 mesi per le autonome, dalla data di maturazione dei requisiti. Questo meccanismo, unito alla riduzione del trattamento calcolato interamente con il sistema contributivo, ha limitato negli ultimi anni la platea delle beneficiarie, come testimoniato dai dati sulle domande effettivamente accolte.
Le ultime modifiche, in particolare, hanno reso sempre meno accessibile l’uscita anticipata rispetto al passato, mentre il dibattito politico ne ha spesso evidenziato la necessità come misura di sostegno concreto alle carriere lavorative delle donne e di equilibrio familiare.
Nella fase di esame degli emendamenti alla manovra finanziaria, è emersa una convergenza tra maggioranza e opposizioni sul tema della proroga dell’anticipo pensionistico femminile. La Lega e Forza Italia, insieme ad altre forze di opposizione quali Alleanza Verdi-Sinistra, Partito Democratico, Italia Viva e rappresentanti degli autonomisti, hanno presentato emendamenti che prevedono l’estensione della possibilità di accedere al trattamento anche per chi matura i requisiti entro il 31 dicembre 2025, con effetti operativi nel 2026.
Le richieste presentate riguardano:
Il percorso dell’emendamento per la proroga della misura, tuttavia, resta incerto fino al completamento dell’iter parlamentare: molte delle modifiche sono subordinate alle valutazioni tecniche del Ministero dell’Economia e delle Finanze e alle decisioni della Ragioneria di Stato, alla ricerca dell’equilibrio tra garanzie sociali e sostenibilità dei conti.
Il testo dell’emendamento bipartisan non modifica sostanzialmente i requisiti fondamentali d’accesso, confermando la soglia dei 61 anni di età e dei 35 anni di contributi, con le consuete riduzioni anagrafiche legate al numero di figli. Tuttavia, la platea delle lavoratrici resta circoscritta a specifiche categorie:
Dal punto di vista delle beneficiarie, non vengono previsti ampliamenti della platea rispetto agli anni più recenti, nonostante le sollecitazioni di diversi attori sindacali e parlamentari.