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Opzione donna abolita, si muove la politica e i sindacati per reinserirla in Manovra Finanziaria

di Marianna Quatraro pubblicato il
Opzione donna abolita Manovra Finanziari

Cancellata Opzione donna dalla Manovra finanziaria 2026 ma sindacati e alcuni esponenti politici puntano a reinserirla per agevolare le uscite delle donne lavoratrici

L’evoluzione della normativa italiana in materia previdenziale ha costantemente sollevato il tema della flessibilità in uscita, soprattutto per quanto riguarda la popolazione femminile. Lo strumento dell’Opzione Donna si è imposto negli anni come una delle principali vie di accesso anticipato alla pensione per le lavoratrici, premiando il valore della cura e rispondendo alle peculiari esigenze di chi si è confrontato, spesso, con carriere discontinue o lavori di assistenza familiare. Con questa misura, molte donne hanno potuto trovare un equilibrio tra vita personale e professionale, senza dover rinunciare a una dignità economica nella fase di pensionamento. 

La cancellazione di Opzione Donna nella Manovra 2026: decisioni e motivazioni del Governo

Nella Manovra 2026, Opzione Donna è stata eliminata, segnando un cambio di passo significativo nell’approccio alla previdenza. In passato, lo strumento consentiva l’anticipo pensionistico alle lavoratrici che avessero maturato almeno 35 anni di contributi e raggiunto una determinata età anagrafica, requisiti poi resi via via più stringenti, riducendo la platea delle beneficiarie fino alle sole caregivers, invalide e dipendenti di aziende in crisi.

Secondo le dichiarazioni dell’esecutivo e di organismi preposti alla Ragioneria dello Stato, la motivazione principale dietro la cancellazione risiede nella necessità di contenere la crescente spesa previdenziale, adeguando al contempo i requisiti di accesso alla pensione all’aumento della speranza di vita, come certificato dall’ISTAT. Un’inversione di rotta, dunque, verso una maggiore rigidità del sistema, che porterà l’età pensionabile a salire gradualmente fino a 67 anni e 3 mesi dal 2028, mentre per l’anticipo basato sui versamenti contributivi si raggiungerà la soglia di 43 anni e un mese.

Impatto della cancellazione sulle donne: testimonianze e conseguenze sociali

L’eliminazione dell’opzione più flessibile per le lavoratrici ha provocato un forte senso di amarezza, delusione e rabbia tra chi vedeva in essa una risposta concreta alle difficoltà accumulate durante una vita di lavoro spesso segnata da periodi di cura familiare, disoccupazione involontaria o fragilità personale.

Dai commenti raccolti sulle principali piattaforme di informazione emerge un quadro fatto di storie di donne che, senza la possibilità del pensionamento anticipato, si ritrovano a dover conciliare il lavoro retribuito con quello domestico e assistenziale, spesso non riconosciuto economicamente. Numerose testimonianze sottolineano come questa misura rappresentasse una forma di “correttivo” alle disparità strutturali presenti nel mercato del lavoro femminile:

  • Donne caregivers che assistono famigliari disabili e che senza un’uscita anticipata sono costrette a scegliere tra lavoro e cura.
  • Lavoratrici con carriere interrotte o penalizzate dalla maternità e dalla gestione dei figli, che si sentono ancora più fragili a fronte della mancata tutela.
  • Casalinghe e donne invisibili nel sistema, per le quali la pensione rappresentava anche un riconoscimento sociale ed economico del lavoro svolto in casa per decenni.

Le reazioni dei sindacati e delle lavoratrici: richieste di ripristino e critiche alla scelta politica

Sia i sindacati che le rappresentanze delle lavoratrici hanno reagito con fermezza alla decisione governativa di abolire Opzione Donna. In particolare, la Cgil, tramite la segretaria confederale Lara Ghiglione, ha denunciato il rischio di accentuare la disparità di genere e ha annunciato manifestazioni su scala nazionale, ponendo al centro del confronto l’equità e il riconoscimento del lavoro di cura.

Tra le richieste principali emergono:

  • Il ripristino della misura nella legge di bilancio tramite emendamenti specifici.
  • L’avvio di un dialogo strutturato sulle forme di flessibilità previdenziale riservate alle donne, in rapporto alle loro condizioni lavorative e familiari.
  • Il rilancio culturalmente e politicamente del tema del “doppio lavoro” femminile, per evitare che la questione sia sottovalutata sia nella comunicazione istituzionale sia nell’opinione pubblica.
Alcuni esponenti politici, tra cui deputate come Chiara Appendino, si sono uniti alla critica, evidenziando la necessità di reintrodurre la misura per sostenere le uscite delle donne lavoratrici e il rischio che la sua abolizione si traduca in un mancato riconoscimento delle difficoltà vissute dalle donne sul mercato del lavoro. 

La discussione parlamentare e i confronti restano ancora aperti: la stessa evoluzione della Manovra lascia ipotizzare margini per possibili modifiche attraverso emendamenti nelle prossime fasi di approvazione. 

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