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Pensioni 2026 e importi: per chi e di quanto aumentano con rivalutazione annuale e una tantum pensioni minime

di Marianna Quatraro pubblicato il
Aumento importi pensioni 2026

Nel 2026 le pensioni subiranno aumenti degli importi grazie alla rivalutazione annuale e all'assegnazione di una tantum, con particolare attenzione alle pensioni minime.

Tra adeguamenti automatici all’inflazione e interventi aggiuntivi a sostegno delle pensioni minimi, il 2026 porta novità sugli importi delle pensioni in Italia. L'attenzione si concentra sia sulla tradizionale rivalutazione annuale degli assegni, basata sull’Indice dei Prezzi al Consumo, sia quello deciso antum destinato agli importi minimi nel testo della Manovra Finanziaria approvato in CDM

Come funziona la rivalutazione delle pensioni nel 2026 e di quanto aumenteranno le pensioni in base alle diverse fasce.

La rivalutazione annuale delle pensioni è un meccanismo previsto per consentire agli assegni di mantenere nel tempo il proprio valore reale. Nel 2026, la perequazione automatica degli importi si basa sulle stime Istat, che prevedono un’inflazione attorno all’1,7%. Questo indice sarà determinante nella definizione degli aumenti per la maggior parte dei pensionati.

La rivalutazione degli assegni sopra il trattamento minimo avverrà con percentuali di incremento decrescenti man mano che cresce l’importo della pensione stessa. L’obiettivo risiede nella progressività dell’intervento, in modo tale da focalizzare le risorse sui trattamenti inferiori, secondo criteri di equità sociale:

  • 100% dell’aumento previsto per importi fino a quattro volte il minimo (ca. 2.466 euro lordi);
  • 90% dell’aumento per assegni compresi tra quattro e cinque volte il minimo;
  • 75% per trattamenti superiori a cinque volte tale soglia.
Esemplificando, su una pensione di 1.500 euro mensili, l’incremento stimato sarà di circa 25,5 euro, mentre su importi fino a 2.000 euro si salirà intorno ai 34 euro. Solo per chi supera i 3.000 euro, l’aumento mensile si aggirerà sui 46 euro, arrivando a meno di 70 euro per chi percepisce 5.000 euro.
 

Per quanto riguard, invece, una pensione pari al trattamento minimo 2025, ovvero circa 603 euro, dovrebbe salire a poco più di 613 euro mensili grazie alla perequazione ordinaria. (ma come vedremo solo per queste pensioni la crescita sarà rafforzata grazie ad un intervento spefico)


Per i pensionati con trattamenti più elevati, le percentuali ridotte riflettono da un lato la necessità di controllare la spesa pubblica e dall’altro l’impegno a tutelare i soggetti che rischiano di più l’erosione del potere d’acquisto.

Aumento delle pensioni minime: importi, destinatari e una tantum

L’intervento più rilevante tra le misure previste per il prossimo anno riguarda le pensioni minime, che saranno oggetto non solo della consueta rivalutazione ordinaria, ma anche di un incremento aggiuntivo una tantum.


Accanto all’adeguamento ordinario, calcolato sull’inflazione, appena sopra scritto, si aggiungerà però una quota extra, frutto della rivalutazione straordinaria introdotta dal governo, che dovrebbe portare l’importo complessivo a circa 633 euro mensili, pari a un aumento di circa 20 euro rispetto all’anno precedente. 

I potenziali beneficiari sono coloro che già percepiscono la pensione al minimo e rientrano nei limiti reddituali previsti dalla normativa. 

Stando alle proiezioni, l’incremento totale annuo ammonterebbe a circa 260 euro, in linea con la promessa governativa di rafforzare il potere d’acquisto delle categorie più fragili.

Cosa è successo negli ultimi anni alla pensioni minime?

Anno Importo Minimo Mensile Incremento Annuale
2024 598,61 € -
2025 603,40 € +4,79 €
2026 (stimato, con una tantum) ca. 633 € +29,60 €

 

Il confronto con gli anni precedenti e opinioni di sindacati e parti sociali

L’analisi dei dati mostra che le rivalutazioni degli ultimi anni sono state spesso giudicate esigue dagli osservatori e dalle stesse associazioni di pensionati. Nel 2025 l’aumento si era fermato ad appena lo 0,8%, mentre nel 2026 si attesterà a oltre il doppio. Tuttavia, sia la CGIL che la UIL hanno espresso perplessità sull’efficacia delle misure adottate, giudicando gli incrementi ancora non in grado di tutelare in maniera adeguata il potere d’acquisto.

In particolare:

  • Le principali sigle sindacali segnalano la necessità di una riforma più ampia e strutturale del sistema.
  • Secondo molte parti sociali, solo interventi maggiormente redistributivi possono tutelare i segmenti più vulnerabili.
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