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Produttività in Italia in stallo da 30 anni e ultimo anno in calo. Ecco perché non aumentano davvero stipendi e potere di acquisto

di Marcello Tansini pubblicato il
Stipendi e potere di acquisto

Da trent'anni la produttività in Italia ristagna e segna un recente calo, riflettendosi su salari e potere d'acquisto. Cause strutturali, confronti europei e possibili strategie per il futuro.

Nel panorama economico nazionale, la questione della produttività mostra ormai da trent'anni un andamento altalenante, segnato da lunghi periodi di stagnazione intervallati da cali più recenti. Le ultime statistiche raccolte dall'Istat, presentate il 12 dicembre, inaugurano un nuovo capitolo di preoccupazione: dopo un 2023 segnato da una netta flessione del 2,7%, il 2024 registra un ulteriore decremento, attestandosi a -1,9%.

Questi numeri sono ancora più significativi se si considerano le ingenti risorse mobilitate tramite il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr), che non sono riuscite a invertire la tendenza. L'Italia, storicamente frenata da una crescita lenta, sconta oggi un divario profondo rispetto ai partner europei, soprattutto nel contesto di una trasformazione globale che richiede livelli crescenti di efficienza e innovazione.

Cos'è la produttività e perché è fondamentale per crescita, stipendi e potere di acquisto

Produttività: questo termine rappresenta la capacità di generare valore attraverso l'impiego di risorse. Più in dettaglio, si tratta del rapporto tra output (beni e servizi prodotti) e input (risorse utilizzate), dove tra gli input principali figurano le ore lavorate e gli investimenti in capitale. La produttività può essere misurata secondo tre indicatori:

  • Produttività del lavoro, calcolata dividendo il valore aggiunto totale per il numero di ore lavorate;
  • Produttività del capitale, rapporto tra valore aggiunto e servizi forniti dallo stock di capitale produttivo;
  • Produttività totale dei fattori (PTF): misura composita che tiene conto sia del lavoro sia del capitale, e indica quanto progresso tecnico, innovazione e organizzazione permettano di produrre di più a parità di input.
L'efficienza produttiva rappresenta l'elemento cardine della crescita economica: una nazione che riesce ad aumentare la propria produttività ottiene un'espansione sostenuta della ricchezza, con conseguenze dirette su stipendi e potere d'acquisto. Secondo le analisi dell'Istat, una crescita della produttività del lavoro favorisce la possibilità per imprese e settori di redistribuire i guadagni di efficienza attraverso salari più elevati e condizioni migliori per l'occupazione.

Oltre agli effetti sul singolo lavoratore, l'incremento di produttività rafforza la competitività a livello internazionale, ampliando mercati e possibilità d'investimento, e rendendo meno vulnerabili i salari reali agli shock esterni quali inflazione o crisi di domanda. In assenza di crescita produttiva, il rischio è quello di una stagnazione del reddito e di un deterioramento del benessere delle famiglie. Si comprende allora perché la produttività sia considerata una delle cartine di tornasole dello stato di salute economica di un Paese.

Innovazione tecnologica, formazione, miglior organizzazione del lavoro e investimenti in capitale immateriale (come ricerca, sviluppo e proprietà intellettuale) assumono un ruolo centrale nella dinamica della produttività, soprattutto in un'economia avanzata come quella italiana. Limitarsi all'aumento quantitativo delle ore lavorate senza un corrispettivo incremento del valore generato può sortire effetti contrari, addirittura peggiorando la situazione generale.

Produttività in Italia: dati storici, trend attuali e confronto con l'Europa

L'analisi storica dei dati Istat evidenzia un andamento poco brillante: tra il 1995 e il 2024, la produttività del lavoro in Italia ha segnato una crescita media annua dello 0,3%, ben al di sotto sia delle medie dell'Unione Europea (+1,5%) sia di quelle di singoli paesi avanzati, come Germania (+1,2%) e Francia (+1,0%). Il divario appare ancora più evidente osservando il periodo dal 2014 al 2024, dove l'andamento si mantiene fermo sullo 0,3%, mentre l'Ue27 segna un consistente +1,1%.

Nell'anno 2023 si è registrato un calo eccezionale della produttività del lavoro pari al 2,7%, seguito nel 2024 da un'ulteriore riduzione dell'1,9%. Secondo Istat, questa nuova flessione deriva principalmente da un incremento delle ore lavorate (+2,3%) che non è stato accompagnato da una crescita sufficiente del valore aggiunto (+0,4%). Il deterioramento non riguarda esclusivamente il lavoro, ma coinvolge anche la produttività del capitale (-0,1% nel 2024) e soprattutto la PTF, che scende dell'1,2% e riflette un rallentamento nell'innovazione e nell'efficienza dei processi produttivi.

Quando si confronta la situazione nazionale con quella degli altri Stati europei, le differenze sono nette:

Periodo

Italia

Ue27

Germania

Francia

Spagna

1995–2024 (media annua produttività lavoro)

+0,3%

+1,5%

+1,2%

+1,0%

+0,5%

2024

-1,9%

+0,2%

-0,5%

+0,8%

+1,3%

I settori più colpiti dal calo sono quelli dei servizi, in particolare istruzione, sanità e assistenza sociale (-8,8%), intrattenimento (-5,6%), commercio e trasporti (-2,5%). L'industria segna una diminuzione più moderata (-0,7%), mentre agricoltura e servizi di informazione riescono a registrare incrementi positivi.

Queste divergenze con l'Europa sottolineano come la crescita economica italiana sia frenata da un rendimento inferiore, frutto di scarsa innovazione, strutture obsolete e, più in generale, un quadro competitivo meno favorevole.

Le cause alla base del calo della produttività: analisi e fattori

Il deterioramento osservato negli indicatori di produttività in Italia è il risultato di molteplici fattori, sia di natura settoriale sia strutturale. Un dato significativo emerso dai report Istat è che negli ultimi anni la dinamica negativa ha riguardato soprattutto certi comparti, con impatti differenziati secondo il settore di attività economica:

  • Servizi alle persone, come istruzione, sanità e assistenza sociale, evidenziano i cali più alti, penalizzati da rigidità organizzative e scarsa introduzione di innovazione gestionale e tecnologica.
  • Commercio, trasporti, alberghi e ristorazione scontano un modello produttivo spesso a basso valore aggiunto e una forte dipendenza dalla stagionalità e dalle fluttuazioni della domanda.
  • Anche le costruzioni e le attività professionali segnano contrazioni, sottolineando una fragilità diffusa nella capacità di generare efficienza a parità di risorse impiegate.
  • L'industria in senso stretto limita le perdite, ma rivela comunque una fase di stallo rispetto agli anni passati.
Dal lato delle cause profonde e strutturali, emergono:
  • Scarso investimento in ricerca, sviluppo e tecnologie ICT, che nei paesi leader guida la crescita della produttività;
  • Insufficiente formazione e aggiornamento delle competenze della forza lavoro, essenziali per l'adattamento alle nuove sfide produttive;
  • Peso eccessivo delle imprese micro e piccole (molto diffuso nello scenario italiano), che spesso non dispongono delle risorse per innovare e migliorare la propria efficienza;
  • Burocrazia lenta e regole talvolta poco favorevoli all'iniziativa imprenditoriale;
  • Intensità del capitale in diminuzione: la quota di investimenti rispetto alle ore lavorate risulta nel 2024 negativamente correlata alla produttività generale, confermando una tendenza ormai consolidata negli ultimi decenni.
Alla base del calo della produttività totale dei fattori (PTF) nel 2024 si trovano soprattutto un rallentamento nel progresso tecnico, nella capacità gestionale e nell'adozione di best practices manageriali, che frenano la trasmissione dei benefici dell'innovazione su scala ampia. Il supporto dato dal Pnrr, pur rilevante, non ha finora generato il salto di qualità atteso e richiesto dal contesto internazionale.

L'impatto della produttività sui salari e sul potere d'acquisto

L'andamento stagnante o negativo della produttività negli ultimi trent'anni si riflette direttamente sulle condizioni economiche delle famiglie. In un sistema in cui l'efficienza complessiva non cresce, la redistribuzione dei guadagni di produttività viene a mancare, limitando la possibilità di offrire salari migliori e di sostenere il potere d'acquisto.

Nel periodo più recente, caratterizzato da modesti incrementi del valore aggiunto e da un impiego crescente di ore lavorate, il rischio - sottolineato da Istat - è quello di avere più posti di lavoro, ma con una qualità e retribuzione inferiori. La definizione stessa di benessere collettivo ne risente:

  • Salari reali che faticano a tenere il passo con l'inflazione e la crescita del costo della vita;
  • Occupazione poco qualificata e spesso precaria;
  • Ridotta mobilità sociale e un indebolimento delle prospettive per le nuove generazioni;
  • Scarse opportunità di incremento del reddito per chi resta fuori dai circuiti più dinamici.
L'analisi condotta dall'Istat mostra come il distacco tra produttività italiana e quella europea abbia impedito di valorizzare pienamente le potenzialità del mercato del lavoro nazionale, relegando il Paese ad una crescita lenta dei salari nominali e reali. La compressione dei margini di guadagno per le imprese, a fronte di una bassa dinamica di produttività, determina così una minore capacità di trasferire parte dei miglioramenti raggiunti al tessuto sociale.


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