Il cuore della questione fiscale sulle cene aziendali nel 2025 va cercato nei limiti percentuali stabiliti in base al volume dei ricavi dell'impresa.
La deducibilità delle spese di rappresentanza, tra cui rientrano le cene aziendali, è subordinata a una serie di condizioni che mirano a garantire la legittimità del vantaggio fiscale richiesto e a impedire derive elusive. Perché una cena possa essere dedotta, è necessario che sia congrua rispetto ai ricavi, inerente all'attività aziendale e documentata in maniera tracciabile.
A essere decisivo è proprio il principio dell'inerenza: l'evento deve avere un legame diretto con l'attività economica del soggetto che sostiene la spesa, essere finalizzato alla promozione dell'immagine aziendale oppure al consolidamento di relazioni commerciali. Il trattamento fiscale della cena aziendale cambia a seconda che i partecipanti siano clienti o fornitori, dipendenti o collaboratori oppure soggetti terzi non legati in modo diretto all'azienda. È questo il discrimine che consente o meno di accedere al beneficio fiscale:
Dal 2025 il legislatore ha previsto l'obbligo di utilizzo di mezzi tracciabili per il pagamento delle spese di rappresentanza, pena l'impossibilità di dedurle. Carte aziendali, bonifici, sistemi elettronici e pagamenti digitali sono ormai gli unici strumenti ammessi per godere del beneficio fiscale. Il pagamento in contanti comporta l'esclusione della spesa dal novero di quelle fiscalmente riconosciute. In caso di rimborso al dipendente che ha anticipato il costo della cena, l'azienda dovrà dimostrare che il pagamento originario sia avvenuto in forma tracciabile, conservando ricevute e movimenti bancari associati.
Sotto il profilo dell'Iva, la situazione è meno favorevole. Le spese di rappresentanza non danno diritto alla detrazione dell'imposta, neanche se documentate. La detraibilità è ammessa quando la cena rientra in una trasferta lavorativa fuori sede o in eventi formativi accreditati, e solo a condizione che la fattura sia intestata all'azienda e sia presente una connessione funzionale con l'attività svolta. In questi casi limitati, l'Iva può essere recuperata, ma serve una rendicontazione dettagliata che dimostri l'utilità diretta dell'evento per l'impresa.
Sul piano formale, per poter dedurre una cena aziendale, occorre una fattura parlante intestata all'impresa, recante l'indicazione dei partecipanti, la data, il luogo e l'importo complessivo. Bisogna fornire una descrizione dell'occasione e un elenco dei presenti, specificando la natura del rapporto con l'azienda. Senza questi elementi, la spesa risulta indeducibile. Sempre più frequenti sono i controlli dell'Agenzia delle entrate sui giustificativi legati a pranzi e cene: la semplice ricevuta fiscale non è più sufficiente e la mancanza di uno qualsiasi dei requisiti sopra descritti comporta automaticamente il rigetto del beneficio.
Nella pratica, le situazioni sono molteplici e ognuna ha un trattamento fiscale diverso. Una cena con clienti esteri per presentare un nuovo prodotto rientra chiaramente nelle spese di rappresentanza deducibili, sempre nel rispetto dei limiti quantitativi e documentali. Diverso è il caso di un pranzo tra colleghi dopo una riunione interna: in assenza di un obiettivo esterno o promozionale, la spesa non viene considerata di rappresentanza, ma può essere trattata come spesa per somministrazione di alimenti, deducibile nei limiti del 75% a patto che risulti necessaria all'attività aziendale.
Le cene natalizie per i dipendenti sono un'eccezione interessante: non sono considerate spese di rappresentanza, ma rientrano nel welfare aziendale o nei costi del personale. Anche qui, però, le regole cambiano in base alla forma organizzativa e alla modalità di offerta del benefit. Se la cena è offerta a tutti i dipendenti e non è selettiva, può essere dedotta interamente come costo del lavoro; se è destinata solo ad alcuni, può essere considerata fringe benefit e quindi soggetta a tassazione.