Liste d'attesa sempre più lunghe, cause strutturali, norme in cambiamento e una situazione diseguale tra le regioni: il quadro dei tempi per esami e visite nel Servizio Sanitario Nazionale italiano.
Oltre un cittadino su due in Italia incontra ostacoli sempre più marcati nel percorso di accesso a prestazioni sanitarie essenziali. Situazioni emblematiche segnalano attese fino a 360 giorni per una TAC, 540 giorni per una risonanza magnetica all'encefalo o visita oculistica e fino a 720 giorni per una colonscopia. Secondo i dati raccolti da Cittadinanzattiva nel Rapporto civico 2025, il 47,8% delle segnalazioni inviate ai servizi di tutela riguarda proprio le difficoltà nel prenotare esami diagnostici, prime visite specialistiche e interventi chirurgici nei tempi standard. Questo dato evidenzia come l'accessibilità alle cure sia divenuta il nodo più problematico, superando persino la questione della qualità clinica.
È un fenomeno trasversale che mina il diritto alla cura sancito dalla Costituzione all'articolo 32. In questo quadro di sofferenza organizzativa ed economica del Sistema Sanitario Nazionale, la percezione diffusa è quella di un diritto svuotato di efficacia pratica, specialmente per le fasce più fragili della popolazione e in presenza di patologie croniche o complesse.
Il peso crescente di liste fuori controllo solleva anche interrogativi sull'universalità e l'equità nella distribuzione delle risorse e chiama in causa il ruolo delle istituzioni e della cittadinanza attiva.
I dati provenienti dalle ultime rilevazioni e segnalazioni fotografa-no uno scenario allarmante: molte prestazioni superano i limiti fissati dai piani nazionali e regionali, spesso di mesi. L'analisi delle quasi 17mila segnalazioni raccolte nel 2024 da Cittadinanzattiva mostra che le attese si dilatano soprattutto per alcune tipologie di esami e visite:
Altre prestazioni critiche sono la mammografia (fino a 147 giorni), la visita dermatologica (177 giorni) e la diagnostica senologica (fino a 260 giorni). L'indice di performance, che misura la percentuale di erogazione entro i tempi previsti, spesso si attesta sotto il 60% in numerose province italiane, con chiare evidenze di inefficacia organizzativa. Una tabella esemplificativa:
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Prestazione |
Tempo massimo previsto |
Tempo di attesa rilevato |
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Colonscopia (urgente – U) |
72 ore |
Fino a 105 giorni (25% dei casi) |
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TAC torace |
60 giorni (D) / 120 giorni (P) |
Fino a 360 giorni |
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Mammografia (D) |
60 giorni |
147 giorni |
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Visita oculistica (P) |
120 giorni |
540 giorni |
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RM encefalo |
120 giorni |
540 giorni |
Questi numeri, ormai strutturali, rendono evidente che l'attesa rischia di compromettere la diagnosi precoce, la continuità delle cure e talvolta la prognosi dei pazienti. Il ricorso al privato, in crescita, è conseguenza diretta, con un aumento della spesa sanitaria a carico dei cittadini.
La colonscopia rappresenta uno degli snodi cardine per la diagnosi e la prevenzione delle patologie tumorali e gastrointestinali. I dati più recenti del Rapporto civico 2025 evidenziano un aumento drammatico dei tempi di attesa per questa prestazione, soprattutto nelle fasce di priorità differibile e programmabile, dove si riscontrano periodi che possono superare anche i 720 giorni (quasi due anni).
Un’attesa di tale durata compromette irrimediabilmente la logica della prevenzione. Gli screening oncologici, la valutazione di sintomi sospetti o la necessità di monitorare condizioni croniche vengono così rinviati a tempi incompatibili con le esigenze cliniche e con le raccomandazioni delle principali società scientifiche. Per di più, nei casi classificati come urgenti, si supera spesso il limite delle 72 ore previsto dalla normativa vigente, raggiungendo in alcune situazioni oltre 100 giorni.
Le conseguenze non sono solo sulla qualità delle cure, ma direttamente sugli esiti di salute: un ritardo nella diagnosi di patologie tumorali intestinali può determinare trattamenti più invasivi e minori chances di guarigione. Il mancato rispetto dei tempi per la colonscopia è dunque una delle criticità più gravi, trasversale in tutto il territorio nazionale, e rivela l’urgente necessità di riformare l’organizzazione delle agende e di garantire la trasparenza sui dati regionali.
La Tomografia Assiale Computerizzata (TAC) del torace è un esame ad altissimo valore diagnostico, soprattutto per le malattie polmonari e per la sorveglianza oncologica. Attendere fino a 360 giorni per una TAC torace – come emerso dalle indagini di Cittadinanzattiva – introduce rischi non solo clinici, ma anche psicologici e sociali per i pazienti.
Un tempo di attesa tanto esteso vanifica, di fatto, l’urgenza insita nella prescrizione dell’esame. Condizioni come infezioni bronchiali persistenti, sospetti noduli polmonari, controlli post-operatori e monitoraggi oncologici non possono essere procrastinati senza influire direttamente sul decorso clinico. Gli standard indicati nei LEA prevedono soglie di 72 ore per le urgenze o 60 giorni per le priorità differibili; tuttavia, la media reale supera spesso i limiti, e i casi di attesa annuale sono tutt’altro che rari.
Il divario tra prestazioni garantite e tempi effettivi porta molti cittadini a valutare alternative a pagamento o modalità intramoenia, con evidenti ripercussioni sull’equità dell’accesso. Questo fenomeno alimenta ulteriori diseguaglianze e mette a nudo la necessità di rafforzare la capacità del servizio pubblico sia in termini strutturali che di personale.
Nel panorama delle prestazioni diagnostiche, la risonanza magnetica all’encefalo e le visite oculistiche vantano tempi medi di attesa che si assestano oltre i 500 giorni. Questo dato, confermato dalle segnalazioni di migliaia di cittadini in tutta Italia, sottolinea il grado di criticità raggiunto nell’accesso a prestazioni di importanza strategica per la prevenzione e la diagnosi precoce.
Nel caso della risonanza all’encefalo, molto impiegata per le patologie neurologiche, ogni mese di ritardo può precludere la possibilità di intervento tempestivo per condizioni acute come la sclerosi multipla, i tumori cerebrali o le vasculopatie. Analoga considerazione vale per la visita oculistica: ritardare oltre un anno e mezzo può significare perdere opportunità di diagnosi precoce di glaucoma, maculopatie e altre gravi patologie visive.
L’esperienza delle famiglie e dei pazienti racconta la fatica di ottenere una prenotazione nei tempi previsti. Si riscontrano differenze marcate a livello regionale, ma il quadro di fondo resta segnato da una cronica inadeguatezza di risorse e una gestione frammentata delle agende.
Le prime visite specialistiche rappresentano uno snodo essenziale nell’avvio di qualsiasi percorso diagnostico o terapeutico. I tempi di attesa attuali – mediamente tra 400 e 500 giorni – configurano uno scenario in cui la tempestività della presa in carico è quasi utopica.
L’impatto di questa situazione è particolarmente evidente per i pazienti con sintomi nuovi, patologie in fase di definizione o per quanti necessitano di un rapido inquadramento clinico. La lunga attesa costringe spesso le persone a ritardare cure, ad auto-medicarsi o, nei casi più gravi, a rivolgersi direttamente al pronto soccorso, contribuendo così al sovraccarico delle strutture di emergenza.
La distanza tra quanto previsto dai LEA e quanto avviene nella realtà alimenta frustrazione, ansia e sfiducia nel sistema sanitario. Una delle principali richieste delle associazioni dei cittadini riguarda la piena attuazione delle procedure di tutela, la trasparenza delle agende di prenotazione e una programmazione che garantisca realmente l’accesso, soprattutto ai gruppi più vulnerabili.
Molteplici fattori contribuiscono alla dilatazione dei tempi per l'accesso alle prestazioni sanitarie pubbliche. Tre elementi emergono con evidenza dalle analisi:
Le difficoltà sono amplificate nel Sud e nelle aree interne, mentre migliori performance (in termini di tempi e trasparenza) si attestano nel Centro-Nord. L'età media elevata della popolazione, l'aumento delle cronicità e la crescita dei bisogni assistenziali aggravano il quadro, creando un circolo vizioso tra domanda crescente e capacità di risposta limitata.
Le ricette per visite ed esami diagnostici contengono l'indicazione di una classe di priorità, assegnata dal medico sulla base della gravità clinica e del bisogno assistenziale. Le principali classi sono:
Per i cittadini, la corretta indicazione della priorità garantisce una risposta adeguata. Purtroppo, nella pratica, anche le classi U e B subiscono sforamenti importanti.
L'indicazione della classe è decisiva anche in caso di tutela: se nei tempi massimi previsti non si ottiene l'appuntamento, il cittadino ha il diritto a una soluzione alternativa a carico del SSN, anche in regime privato accreditato o intramoenia, senza ulteriori spese rispetto al ticket.
La legge 107/2024 e il nuovo Decreto Liste d'attesa (178/2024) introducono alcune innovazioni:
I cittadini possono attivare diversi strumenti per far valere il diritto all'accesso nei tempi previsti. Alla base vi è quanto disposto dalla normativa vigente, che impone alle aziende sanitarie di offrire una soluzione entro il limite massimo, pena la possibilità di rivolgersi a strutture private accreditate. Questi sono i passaggi principali previsti per il percorso di tutela:
Le disparità territoriali rappresentano uno degli ostacoli per la reale equità di accesso nel SSN. Le inchieste e il monitoraggio 2024 confermano che le regioni del Centro-Nord raggiungono migliori performance in termini di rispetto dei tempi di attesa, trasparenza dei dati e presenza di percorsi di tutela attivi.
Al contrario, al Sud e nelle aree interne sono frequenti i ritardi, la mancata comunicazione, l'assenza di risposte istituzionali (5 regioni su 21 non hanno fornito alcun dato a Cittadinanzattiva), la carenza di personale e la gestione poco omogenea delle agende.
I cittadini del Mezzogiorno, specialmente quelli affetti da patologie croniche o malattie rare, sono spesso costretti a spostarsi fuori regione per accedere tempestivamente a cure e diagnosi.
Questo divario si traduce in una migrazione sanitaria, in un aumento della spesa privata e spesso in rinuncia alle cure per i soggetti più fragili dal punto di vista sociale e finanziario.