Pagare l'affitto pesa sempre di più sugli stipendi italiani, soprattutto nelle città metropolitane. Dati aggiornati, cause dell'aumento, effetti su mobilità e lavoro e le possibili soluzioni.
Studi aggiornati evidenziano come il costo della casa rappresenti una voce di spesa sempre più impattante sulle capacità finanziarie delle famiglie, riflettendo un trend in costante tensione. La questione riguarda in maniera trasversale giovani, famiglie e singoli lavoratori, toccando in modo particolare chi cerca opportunità professionali nei grandi centri urbani.
L'accessibilità abitativa si conferma così un tema centrale, non solo per le sue ripercussioni sull'individuo, ma anche come indice dello stato di salute economica dei territori e della loro attrattività per forza lavoro qualificata. Le recenti rilevazioni di Cassa Depositi e Prestiti (Cdp) sottolineano che il rapporto tra canone di affitto e stipendio è oramai una delle questioni cardine nell'agenda delle politiche abitative.
Dall'analisi emerge come la media nazionale dell'incidenza dell'affitto sul reddito netto si attesti intorno al 35%, una percentuale sopra la soglia critica dal punto di vista della sostenibilità finanziaria. Il valore che gli enti e le istituzioni di settore considerano limite - il 30% del reddito complessivo - segnala già la soglia oltre la quale una famiglia inizia a trovarsi in una situazione di difficoltà economica, soprattutto quando si sommano altre spese fisse e variabili.
Gli ultimi dati forniti da Cdp mostrano come questa media nazionale abbia effetti più marcati su determinate categorie. I giovani lavoratori, ad esempio, spesso destinano oltre il 40% del proprio stipendio alla locazione di un immobile. Questa dinamica si traduce per molti nella necessità di rinunciare ad altre componenti essenziali del bilancio familiare o di affidarsi all'aiuto economico della famiglia di origine.
L'aumento della spesa per la casa, in particolare nelle aree metropolitane, è divenuto un elemento di pressione crescente, incidendo sulla possibilità di pianificare stabilmente il futuro. Il fenomeno non interessa esclusivamente i capoluoghi di regione, ma è percepito anche in centri urbani di dimensioni intermedie, nei quali la richiesta di alloggi supera ampiamente l'offerta disponibile a canoni sostenibili.
L'analisi su base territoriale svela profonde differenze tra aree urbane ed extraurbane. Nel capoluogo lombardo, si registra la quota più elevata: il canone mensile arriva a richiedere fino al 76% della retribuzione netta di un lavoratore, percentuale che supera di oltre due volte i parametri di equilibrio finanziario suggeriti dalle organizzazioni internazionali. Roma si attesta poco sotto, con il 65%. In altre città, come Bologna (48%), Sassari (46%), Firenze (45%) e Napoli (45%), il rapporto tra affitto e stipendio resta abbondantemente sopra la media nazionale.
Il fenomeno coinvolge però anche centri meno popolosi come Trento, Bolzano, Venezia e Cagliari. In queste aree, il rapporto tra canone e retribuzione raggiunge spesso livelli superiori al 40%, dimostrando una trasversalità del problema dell'accessibilità abitativa.
Molte delle città interessate segnalano che la pressione sui canoni dipende meno dalle differenze retributive tra province - spesso poco significative - e molto più dall'andamento dei prezzi degli immobili in locazione. Un quadro di riepilogo delle principali città mostra l'entità di questa pressione:
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Città |
% Stipendio per Affitto |
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Milano |
76% |
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Roma |
65% |
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Bologna |
48% |
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Sassari |
46% |
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Firenze |
45% |
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Napoli |
45% |
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Trento, Bolzano, Venezia, Cagliari |
oltre 40% |
Di conseguenza, la disparità tra città e territori rischia di tradursi in difficoltà crescenti per le fasce lavorative più esposte e accresce il divario economico e sociale tra regioni.
Una serie di fattori strutturali ha contribuito all'innalzamento costante dei canoni di locazione a livello nazionale. Tra i più rilevanti si segnalano:
La crescente incidenza degli affitti rispetto al reddito comporta conseguenze rilevanti non solo per le famiglie, ma anche per il mercato del lavoro e per la competitività dei territori. In molte province, le imprese stanno incontrando difficoltà nell'attrarre nuovo personale: il divario tra la domanda di lavoro e l'offerta di candidati disponibili è accentuato dai costi eccessivi della vita, in particolare dall'impossibilità per molti di trasferirsi nelle aree dove la presenza di opportunità professionali è più alta.
CDP ha identificato questo fenomeno attraverso l'Indice di Fabbisogno di Alloggi per Lavoratori (Ifal), che individua le province dove la richiesta di nuove assunzioni è maggiore rispetto alla popolazione disoccupata. Nelle quindici province con il più alto Ifal (tra cui Bolzano, Milano, Trento, Prato e Roma), si concentra oltre un terzo della domanda di lavoro nazionale e una parte rilevante del PIL e delle esportazioni italiane.
Barriere all'accessibilità abitativa in queste aree rischiano di ostacolare la crescita economica, rallentare l'innovazione e accentuare gli squilibri tra territori, frenando la capacità delle imprese di innovare e rimanere competitive su scala globale.
La situazione italiana presenta caratteristiche simili a quelle registrate in molte nazioni europee, ma su alcuni fronti i dati nazionali sono ancora più preoccupanti. Secondo le ultime stime dell'Unione Europea, circa il 9% dei cittadini dell'area destina oltre il 40% del proprio reddito alle spese abitative, mentre in Italia questa media è già superata da interi segmenti della popolazione urbana.
Altri paesi, come la Germania o i Paesi Bassi, vantano una disponibilità più ampia di alloggi in locazione e a prezzi calmierati: in Italia il patrimonio immobiliare in affitto rappresenta appena il 13,1% del totale, contro il 30% della Francia e oltre il 50% della Germania; per l'offerta di alloggi a canone agevolato la quota crolla al 2,4%, ben lontano dalle percentuali di Austria e Olanda (rispettivamente 23,6% e 34%).
Le istituzioni europee hanno inserito per la prima volta la questione abitativa nell'agenda politica, promuovendo piani specifici per le fasce di popolazione più esposte a rischio esclusione. L'urgenza di misure strutturali e organiche riguarda tutto il continente, ma in Italia si avverte in maniera ancora più pressante la necessità di ripensare le strategie di sviluppo urbano e di rafforzare strumenti normativi ed economici a favore dell'accessibilità abitativa.
Nel dibattito pubblico si fa sempre più strada l'idea che servano interventi innovativi per affrontare la crescente pressione abitativa. Tra le soluzioni più attenzionate e suggerite dagli enti di ricerca vi è il service housing: si tratta di una tipologia di alloggio destinata ai lavoratori che, per motivi professionali, si spostano verso territori ad alta pressione immobiliare e hanno difficoltà ad accedere al mercato privato a prezzi sostenibili.
Le caratteristiche del service housing comprendono:
Sebbene la normativa italiana contempli già forme di locazione a canone concordato e incentivi alla rigenerazione urbana, l'urgenza attuale suggerisce un rafforzamento degli strumenti esistenti e lo sviluppo di modelli più flessibili e innovativi, in linea con le migliori pratiche europee. Garantire l'accessibilità abitativa non rappresenta soltanto un obiettivo sociale, ma costituisce di fatto la premessa per uno sviluppo economico inclusivo e sostenibile nel medio-lungo periodo.