In Italia il doppio lavoro è sempre più raro: dati e tendenze evidenziano un declino rispetto alle grandi nazioni. Tra emergenza sociale, stipendi bassi e nuove prospettive, il fenomeno si trasforma nel tempo.
Negli ultimi anni, la partecipazione degli italiani a più impieghi simultanei è diminuita, facendo registrare i livelli più bassi tra le principali nazioni europee. Nel 2024 la quota di lavoratori con una doppia occupazione è scesa per la prima volta sotto l'1%, posizionando l'Italia agli ultimi posti in Europa, ben distante da realtà come Olanda o Danimarca, dove questa pratica è notevolmente più presente. Tale evoluzione suggerisce un cambiamento profondo nel rapporto tra la popolazione e il lavoro, influenzato sia dalla struttura economica nazionale sia da fattori sociali e culturali.
L'Italia si discosta perciò non solo nella quantità, ma anche riguardo alla qualità e alla percezione stessa di mantenere più impieghi. Questo trend, benché in controtendenza rispetto all'immagine di “multi-occupazione” necessaria per far fronte alle difficoltà economiche, riflette la complessità di un mercato del lavoro articolato e caratterizzato da dinamiche uniche rispetto ai principali partner dell'Unione europea.
L'analisi dei dati ufficiali offre un quadro nitido: in Italia, nel 2024, solo lo 0,8% degli occupati dichiara di avere più di un lavoro. Questo tasso si è dimezzato rispetto al 2008 (1,7%), nonostante il numero totale di lavoratori sia nel frattempo aumentato. Rispetto a Francia e Germania, dove rispettivamente si contano più di 1,2 e oltre 2 milioni di casi, il dato nazionale appare molto limitato. Nella tabella seguente è possibile confrontare le percentuali di multi-occupati in alcuni Paesi UE:
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			 Paese  | 
			
			 % Multi-occupati (2024)  | 
		
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			 Italia  | 
			
			 0,8  | 
		
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			 Francia  | 
			
			 2,8  | 
		
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			 Germania  | 
			
			 4,5  | 
		
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			 Olanda  | 
			
			 7,7  | 
		
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			 Danirmarca  | 
			
			 8,3  | 
		
L'andamento nel tempo mostra una correlazione con i cicli economici: nei periodi di crisi, il doppio lavoro tendeva a calare leggermente, ma dagli anni post-pandemici è proseguita una riduzione nonostante la ripresa economica. Secondo gli studi più recenti, il fattore che incide maggiormente sulla probabilità di avere una doppia occupazione è il contratto part-time nel lavoro principale, seguito dall'essere uomini, stranieri e avere un'età compresa tra 30 e 50 anni.
Inoltre, questa modalità interessa sia le figure altamente qualificate - come consulenti e professionisti - sia lavoratori poco specializzati, senza risultare tipica dei soli operai o impiegati. Lontana dall'essere una risposta diffusa alla precarietà, la doppia attività in Italia coinvolge oggi un pubblico ristretto e trasversale.
Nonostante le statistiche ufficiali indichino numeri contenuti, il fenomeno del doppio lavoro in Italia è più complesso. È diffusa la reticenza a dichiarare occupazioni extra, specie se irregolari o contrarie alla normativa contrattuale. Diversi esperti suggeriscono che la quota reale sia sottostimata, poiché una parte significativa di multi-occupazione avviene nel sommerso, in particolare in settori come industria ricreativa e culturale, dove gli stipendi a basso valore spingono a integrare le entrate con attività informali.
L'emersione di tendenze internazionali come il “polygamous working” - impieghi multipli da dipendente nascosti ai datori di lavoro - introduce nuovi rischi, soprattutto legati allo stress da sovraccarico (burnout) e a potenziali conflitti legali. Le norme italiane, infatti, regolano la cumulabilità dei contratti e impongono limiti di orario (massimo 48 ore settimanali complessive). Da questo quadro emerge che il doppio lavoro, più che una soluzione diffusa, rappresenta spesso uno spazio di precarietà, con risvolti rischiosi per il lavoratore sia dal punto di vista psico-fisico che previdenziale:
Rispetto al 2008, i salari reali in Italia hanno subito un calo dell'8,7%, portando la Penisola a guidare questa poco invidiabile classifica tra le grandi economie. Nonostante ciò, solo una piccola quota di lavoratori decide di affrontare la fatica di un secondo impiego, nel tentativo di reggere all'erosione del potere d'acquisto. Il fenomeno del “lavoro povero” - cioè chi, pur essendo occupato, resta sotto la soglia di rischio povertà - è in preoccupante crescita e interessa oltre il 10% dei lavoratori, secondo Eurostat 2024.
A rendere meno attrattiva la scelta di un secondo lavoro contribuiscono diversi elementi:
Le dinamiche contemporanee evidenziano un diverso rapporto tra lavoro e realizzazione personale. Se in passato accumulare più impieghi era visto come necessità o ambizione, oggi si assiste a un cambio di paradigma: molti lavoratori, soprattutto tra le nuove generazioni, pongono al centro le relazioni di qualità, il significato delle attività svolte e la possibilità di armonizzare vita privata e professionale.
Secondo ricerche recenti, per i giovani lavoratori:
All'interno di un contesto in rapida trasformazione, la strategia adottata soprattutto dai giovani non è più la rincorsa a impieghi multipli, ma una maggiore mobilità tra aziende e settori (“job hopping”). La propensione a cambiare spesso occupazione ha come obiettivo non solo aumenti salariali - sebbene i dati mostrino che chi cambia lavoro ottiene aumenti fino al 15% - ma anche l'individuazione di ambienti allineati ai propri valori e alle proprie aspettative.
Nel decennio passato il job hopping in Italia, pur rimanendo su livelli inferiori ad altri mercati come quello statunitense, ha coinvolto circa il 6% dei lavoratori, concentrati soprattutto tra Millennial e professionisti del digitale. Nel Paese, dove il rapporto medio di durata di un contratto di lavoro dipendente è molto elevato (12 anni), questa tendenza si accompagna a una ricerca di maggiore senso e soddisfazione personale, a discapito dell'attaccamento a un'unica azienda o alla sicurezza di lungo periodo.
Allo stesso tempo, il fenomeno rivela anche alcune fragilità strutturali del mercato: disaffezione verso carriere poco evolutive e gli effetti della precarizzazione contribuiscono a orientare le scelte delle nuove generazioni più verso la realizzazione personale che verso la moltiplicazione delle ore lavorate. In definitiva, la moda del doppio lavoro lascia il passo alla ricerca di senso e crescita, segnando una svolta culturale profonda.