Quando una vittima si reca presso una stazione dei Carabinieri o un commissariato per denunciare una frode online, inizia un percorso che spesso si arena.
Ad allarmare cittadini e associazioni è il fatto che la maggior parte delle denunce venga archiviata, anche quando i danni economici risultano ingenti. I motivi di questa tendenza sono molteplici e intrecciano difficoltà investigative, carenze normative e limiti strutturali del sistema giudiziario italiano. Molto spesso, chi presenta querela si ritrova a ricevere dopo pochi mesi un decreto di archiviazione, con la motivazione che l'indagine non risulta utile o sostenibile dal punto di vista delle risorse pubbliche, soprattutto quando il danno non supera certe soglie.
Non si tratta più di casi isolati. In città come Bari, Lecce, Sassari, Torino e persino Tivoli, sta prendendo piede una forma implicita di rassegnazione giudiziaria nei confronti di reati cyber con danni inferiori ai 5.000 euro. In sostanza, molti uffici giudiziari considerano queste truffe come economicamente non indagabili, data la loro complessità tecnica e la difficoltà nel raggiungere i responsabili, residenti o operanti all'estero. Il truffatore conosce questo limite del sistema e ne approfitta: costruisce schemi criminali transfrontalieri, si appoggia a piattaforme fittizie e si muove tra criptovalute, server proxy e banche estere, rendendo quasi impossibile qualsiasi tracciamento in tempi rapidi.
Anche quando le forze dell'ordine sono dotate di strumenti investigativi avanzati, il nodo resta il costo e la tempistica delle indagini, che mal si conciliano con un reato in cui il danno economico viene considerato contenuto. Questo spiega perché le truffe online sotto i 10.000 euro finiscono, nella maggioranza dei casi, in un limbo giudiziario, nonostante i numeri siano allarmanti: solo nel 2024, secondo dati del Ministero dell'Interno, le frodi informatiche sono aumentate del 28%, con una perdita economica stimata di oltre 700 milioni di euro per i cittadini.
Di fronte a un sistema che fatica a garantire tutela, molti cittadini si rivolgono ad associazioni specializzate come Associazione vittime truffe finanziarie internazionali, che offre consulenza legale e assistenza per costruire denunce collettive, simili a vere e proprie class action penali. In alcuni casi, è possibile aggirare l'inerzia della giustizia italiana ricorrendo alle autorità internazionali: la SEC americana, ad esempio, ha già aperto fascicoli su truffe originate su suolo europeo ma che si collegano a piattaforme o società registrate negli Stati Uniti.
Anche le banche possono diventare attori responsabili in questo contesto. Se il truffatore è riuscito a svuotare il conto della vittima attraverso phishing o vishing, e se la banca non ha rispettato gli standard minimi di sicurezza può essere citata in giudizio per responsabilità oggettiva e chiamata a risarcire. In parallelo, resta sempre attiva la possibilità di richiedere un chargeback in caso di pagamenti con carta di credito, che rappresenta una delle poche forme di rimborso rapido e semi-automatico a disposizione del cittadino, purché venga attivato entro termini precisi.
Se ottenere giustizia dopo una truffa è complesso, la strategia più potente resta quella della prevenzione attiva. La consapevolezza del rischio e l'alfabetizzazione digitale sono i primi strumenti per evitare di cadere nelle trappole. Significa imparare a riconoscere i segnali d'allarme, evitare siti che non presentano protocolli https o che non espongono dati identificativi chiari, diffidare da promesse di guadagni facili e non condividere mai i propri dati bancari o codici OTP per telefono o via email.