In ottica smart working, basta trascorrere oltre 183 giorni l'anno in un Paese per cambiare la residenza fiscale e dunque adeguarsi alle condizioni del nuovo Paese che possono essere anche più favorevoli.
Sempre più smart working in Italia con la recente pandemia che ha dato un'incredibile accelerazione alla diffusione del lavoro a distanza. Se e quanto la trasformazione del rapporto tra datore e dipendente abbia un carattere irreversibile o meno, solo il tempo potrà dirlo.
Di certo c'è che le norme in materia sono già definite e adesso governi e aziende stanno pensando a quella che potremmo definire la fase 2, quella in cui l'attenzione è rivolta all'aspetto fiscale. Proprio quest'ultimo è un aspetto centrale nelle politiche di sviluppo di un'azienda e in effetti non stanno mancando alcune soluzioni innovative:
Lo smart working per le aziende italiane apre impensabili prospettive di riorganizzazione del lavoro. Pensiamo ad esempio a un'azienda che ha sede all'estero e alla possibilità per il lavoratore italiano di operare nel suo Paese d'origine. E viceversa, naturalmente.
Si tratta di un'opzione che vale sia per le grandissime aziende che per quelle di dimensioni contenute. In comune hanno le implicazioni fiscali ed economiche che deriva da questa situazione. Non dimentichiamo infatti il principio base che regola i rapporti: chi lavora nel Paese di residenza per una parte rilevante del proprio tempo, deve versare i contributi previdenziali proprio in quel Paese.
Per quanto riguarda le tasse, è sufficiente trascorrere oltre 183 giorni l'anno in un Paese per cambiare la residenza fiscale e dunque adeguarsi alle condizioni del nuovo Paese che possono essere anche più favorevoli. A ben vedere, questo rimbalzo da una normativa all'altro si applica anche sui contratti di lavoro.
Nel caso, ad esempio, di un licenziamento, anche per giustificato motivo oggettivo, il lavoratore può chiedere che il processo si tenga in Italia e dunque secodno la nostra legislazione che è in genere più favorevole e i dipendenti sono più tutelati?
Non è un caso, come riporta linkiesta, che Brando Benifei, capo delegazione del Partito democratico al Parlamento europeo e membro del comitato per il mercato interno e la protezione dei consumatori, abbia affermato che lo smart working richieda una regolamentazione organica, con una base comune a livello europeo per quello che riguarda tanto la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro sia la natura fiscale degli utili prodotti e dei compensi percepiti.
In questo contesto di rivisitazione delle regole si segnala la proposta della Deutsche Bank che ha accesso molte discussioni in tutta Europa. Luke Templeman, stratega dell'istituto bancario tedesco, ha invitato alla creazione di una tassa sullo smart working del 5% a tutti i lavoratori che continuano a lavorare da remoto.
Il denaro raccolto andrebbe così dirottato alle vittime economiche della pandemia ovvero coloro che hanno perso o sospeso l'attività o sono costretti a lavorare in ufficio. I lavoratori intelligenti, osserva l'analista di Deutsche Bank, conducono una vita economica piena, ma contribuiscono meno all'economia, anche se continuano a riceverne i benefici.
L'idea della tassa sul lavoro a distanza nasce dal presunto squilibrio tra chi non può accedervi e chi può. Lo smart working offrirebbe infatti risparmio diretto sulle spese, come viaggio, pranzo, vestiti e pulizie, risparmi indiretti come le spese sostenute in ufficio, vantaggi immateriali come la sicurezza, la comodità e la flessibilità dell'orario di lavoro.
Lo smart working, viene spiegato, implica uno stress mentale e una distrazione extra, soprattutto in una casa con bambini. Ma i sacrifici e le spese di solito si annullano rispetto ai guadagni ottenuti.
Non è un caso che la maggior parte delle persone abbia espresso la volontà di continuare a lavorare a distanza, almeno a tempo parziale, dopo la fine della pandemia. L'imposta, secondo lo studio della Deutsche Bank, dovrebbe essere applicata quando lo smart working non sarà più incentivato dai governi stessi ed escludendo i lavoratori autonomi e a basso reddito.