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Smart working, per quali aziende e settori ha aumentato la produttività e in quali l'ha peggiorata secondo Bankitalia

di Marianna Quatraro pubblicato il
Smart working e Bankitalia

Lo smart working ha trasformato la produttività delle aziende italiane in modo eterogeneo. Bankitalia analizza dati e tendenze dal 2019 al 2023 svelando quali settori hanno beneficiato.

Bankitalia, attraverso un attento studio empirico, ha fornito nuovi dati sulla relazione tra smart working e produttività nelle imprese nazionali.

Dall'analisi emerge che, nonostante una diffusa opinione pubblica polarizzata e le forti discussioni emerse durante la pandemia, il lavoro agile non si è rilevato essere un acceleratore o un freno per la produttività complessiva delle aziende, bensì un fattore neutro nella media generale. Tuttavia, le variabili che entrano in gioco sono molteplici e legate alla capacità organizzativa, alla cultura aziendale e alle peculiarità dei diversi settori economici e produttivi.

Impatto neutro dello smart working: analisi dei dati 2019-2023

La ricerca condotta tra il 2019 e il 2023 da Banca d'Italia si basa su una solida base di dati, con particolare riferimento a imprese italiane di varie dimensioni e settori. L'obiettivo principale era valutare, in modo oggettivo, se lo smart working avesse inciso in maniera significativa sulla produttività. Dai risultati emerge che, mediamente, il telelavoro ha avuto un impatto trascurabile su output aziendale - sia in termini di ricavi che di quantità prodotte - e su altre variabili come l'input di lavoro (numero di dipendenti e ore lavorate), la composizione della forza lavoro, i profitti, i costi variabili e gli investimenti in tecnologie avanzate.

I dati raccolti permettono di visualizzare la situazione con la seguente sintesi:

Variabile analizzata

Effetto medio rilevato

Produzione (ricavi/quantità)

Trascurabile

Numero dipendenti/ore lavorate

Stabile

Profitti e costi variabili

Stabili

Investimenti tecnologia 4.0

Non significativi

Composizione forza lavoro

Inalterata

Questa valutazione quantitativa smonta alcune aspettative diffuse riguardo a possibili risparmi automatici derivanti dalla minore presenza fisica nei luoghi di lavoro, o timori associati a cali improvvisi di efficienza derivanti dall'adozione massiva della modalità da remoto. L'effetto produttività va inquadrato nella complessità dei processi aziendali, dove le variabili organizzative, la tecnologia e la cultura gestionale restano determinanti, come rileva lo studio.

Un'ulteriore evidenza riguarda le esperienze pregresse delle aziende: chi già prima della pandemia aveva adottato modelli flessibili ha saputo trarre ripetuti vantaggi, mentre le realtà meno abituate hanno percepito ostacoli e incertezza nelle fasi di transizione. Il quadro suggerisce pertanto che l'incertezza e la predisposizione al cambiamento incidano profondamente nella resa della nuova organizzazione del lavoro.

Benefici e limiti per le aziende abituate e resistenti allo smart working

L'analisi dei dati mostra come il lavoro agile risulti vantaggioso solo nelle imprese con una cultura aziendale e una struttura organizzativa già predisposte ad accoglierlo. In queste aziende, l'esperienza pregressa si è tradotta in una gestione efficace del lavoro da remoto, consentendo di ottenere maggiore efficienza operativa e flessibilità. Talvolta, questa propensione era già presente prima della pandemia, facilitando l'assorbimento delle difficoltà legate al periodo di emergenza e dando continuità a modelli di gestione più snelli e orientati ai risultati.

Nei contesti virtuosi, i vantaggi osservati includono:

  • Riduzione dei tempi morti nei processi operativi
  • Maggiore autonomia operativa dei lavoratori
  • Ottimizzazione di alcune funzioni aziendali, specie nei servizi digitali
  • Incremento del senso di responsabilità e coinvolgimento del personale
Al contrario, le imprese che si sono mostrate altamente resistenti al lavoro da remoto - soprattutto prima dell'emergenza sanitaria - hanno registrato effetti negativi sulla produttività. Secondo Bankitalia, queste realtà si sono trovate impreparate di fronte al cambiamento repentino, mostrando difficoltà nell'integrare processi digitali, gestire il change management e sfruttare al meglio le potenzialità tecnologiche disponibili. In molti casi, la resistenza si è trasformata in una minore propensione a mantenere il lavoro agile una volta rientrata la fase d'emergenza.

L'esperienza italiana mette in risalto che il successo dello smart working non dipende solo dallo strumento tecnico, ma è profondamente correlato al capitale umano e alla cultura organizzativa delle imprese. L'incertezza, citata anche dagli autori del paper Bankitalia, influisce sulla capacità delle aziende di adattarsi e beneficiare pienamente delle nuove modalità di lavoro introdotte.

Eterogeneità tra settori: quali imprese hanno migliorato o peggiorato la produttività

L'adozione del lavoro agile ha mostrato risultati molto diversi a seconda del settore di appartenenza e delle caratteristiche dei vari comparti. In ambito digitale e nelle aziende ad alta intensità di capitale umano, lo smart working è stato integrato con maggiore efficacia, grazie all'autonomia, alle competenze trasversali del personale e a una naturale predisposizione all'utilizzo di strumenti tecnologici.

In sintesi, si evidenziano tre macro-aree di differenziazione:

  • Settori digitali e servizi: qui il lavoro da remoto ha rappresentato una leva attiva per la crescita della produttività, supportando flessibilità, collaborazione a distanza, e riducendo tempi non produttivi.
  • Manifatturiero e comparti produttivi tradizionali: l'adozione è stata più complessa, sia per la necessità della presenza fisica (macchinari, impianti) sia per difficoltà nella gestione delle squadre e nel controllo delle performance.
  • Aziende pubbliche o grandi organizzazioni: spesso la burocrazia e una struttura gerarchica poco flessibile hanno limitato la piena implementazione dello smart working, generando talvolta cali di efficienza o difficoltà nei processi decisionali.
Il quadro che emerge dalla ricerca Bankitalia suggerisce che non esiste una ricetta universale e che la resa del lavoro agile resta situazionale e correlata al contesto operativo. L'assenza di un impatto medio marcato, sia positivo sia negativo, riflette dunque l'interazione di molteplici variabili organizzative e settoriali.

Persistenza dello smart working e cambiamenti strutturali nel mercato del lavoro

Un aspetto di grande rilevanza, segnalato anche negli studi più recenti, riguarda la persistenza del lavoro da remoto ben oltre i livelli pre-pandemici. Seppur diminuito rispetto ai picchi di emergenza, lo smart working si è consolidato come una modalità di organizzazione stabile in molte realtà, diventando un elemento chiave delle nuove strategie per la gestione delle risorse umane e l'ottimizzazione degli spazi aziendali.

Questo cambiamento strutturale si riflette su diversi fronti:

  • Mantenimento di modalità ibride e maggiore attrattività per i talenti
  • Modifica delle politiche di assunzione, sempre più attente all'equilibrio vita-lavoro e al benessere dei dipendenti
  • Continua esigenza di investire in competenze digitali e in strumenti tecnologici affidabili
L'attuale scenario si caratterizza, secondo Bankitalia, per una nuova normalità in cui il lavoro agile svolge ora, per molte imprese, il ruolo di leva strutturale e non più di soluzione emergenziale. Ciò introduce nuove sfide per la gestione, la leadership e le politiche pubbliche del lavoro in Italia.


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