Nel linguaggio comune, il termine buonuscita viene usato per indicare la somma che un lavoratore riceve alla fine di un rapporto per effetto dell'attività lavorativa svolta, ma in realtà racchiude diverse componenti contrattuali. La più importante tra queste è il Trattamento di fine rapporto, una forma di retribuzione differita che spetta al lavoratore subordinato a prescindere dalla causa di cessazione del contratto. Alla buonuscita possono poi sommarsi, in base ai diversi casi, le indennità sostitutive e le somme a titolo risarcitorio per licenziamento illegittimo, o importi frutto di accordi conciliativi siglati tra il dipendente e l'azienda.
Nel settore privato è un diritto patrimoniale certo e non negoziabile, il cui calcolo segue un criterio annuale pari a circa il 6,91% della retribuzione lorda annua accantonata, soggetta a rivalutazione composta secondo parametri definiti per legge. A cui si aggiungono le eventuali mensilità previste dai contratti collettivi come indennità di preavviso o indennità sostitutiva in caso di mancata fruizione. In presenza di un licenziamento contestato e poi dichiarato illegittimo, entra in gioco l'indennità risarcitoria, la cui entità varia in base all'anzianità del lavoratore e alla dimensione aziendale. Vogliamo approfondire:
Come si calcola la buonuscita, formule e parametri
Quali sono gli importi medi della buonuscita
Con l'entrata in vigore del decreto legislativo 23 del 2015, il panorama normativo legato ai risarcimenti per licenziamento illegittimo ha subito una trasformazione. Per i lavoratori assunti con contratto a tutele crescenti, il rimedio economico in caso di licenziamento ingiustificato non è più la reintegrazione automatica, ma il pagamento di un'indennità monetaria, commisurata all'anzianità di servizio. La legge stabilisce che questa somma corrisponda a 2 mensilità per ogni anno di lavoro svolto presso l'azienda, con un tetto minimo di 4 mensilità e un massimo di 24, salvo eccezioni legate alla discriminazione o al mancato rispetto delle tutele previste per maternità e sindacato.
Ma secondo la Corte Costituzionale, l'automatismo nel calcolo dell'indennizzo ha rischiato di sacrificare la personalizzazione della sanzione e ha spinto il legislatore a introdurre correttivi. Oggi l'importo risarcitorio può subire modulazioni in base a parametri discrezionali del giudice, come le condizioni personali del lavoratore, il comportamento dell'azienda, o la gravità della violazione. Nella pratica, le aziende tendono a negoziare con il dipendente una offerta di conciliazione, prevista entro 60 giorni dalla cessazione del rapporto, attraverso la quale chiude il contenzioso versando un importo deducibile fiscalmente, esente da contributi e imposte.
Stabilire con precisione quanto venga pagato come buonuscita nel privato in caso di licenziamento è complicato perché l'ammontare varia in funzione dell'anzianità, del livello retributivo, del contratto collettivo applicato e delle modalità di cessazione. Ma possiamo delineare alcune tendenze medie sulla base dei dati raccolti da studi di settore e osservatori giuslavoristici. Per un lavoratore con anzianità di 10 anni e stipendio lordo annuo di 30.000 euro, il Tfr maturato sarà intorno ai 20.700 euro, a cui può aggiungersi una quota in più in caso di accordo transattivo con importi che oscillano tra 3 e 12 mensilità aggiuntive, concordate per evitare cause o per compensare la mancata contestazione di un licenziamento.
Una buonuscita media può quindi arrivare a superare i 30.000 euro, soprattutto in caso di posizioni impiegatizie o quadri con diversi anni di carriera alle spalle. Nei casi di dirigenti o professional di alto livello, le cifre possono lievitare fino a 60.000 o 100.000 euro tra indennità contrattuali, fringe benefit liquidati e bonus maturati. In senso opposto, per i contratti a termine o i rapporti di durata breve, la buonuscita può limitarsi al solo Tfr, oppure al Tfr con l'indennità di mancato preavviso. Tutte le somme percepite come buonuscita sono soggette alla tassazione separata, con aliquota calcolata sulla media dei redditi degli ultimi cinque anni, generalmente più bassa di quella ordinaria.
Infine, quando la fine del rapporto è frutto di accordi individuali, come un esodo incentivato o una transazione per evitare un contenzioso, può essere prevista una buonuscita aggiuntiva, non legata al Tfr, ma negoziata tra le parti.