Cosa cambia effettivamente tra gli importi di pensione di gennaio 2025 e quelli che stanno per essere pagati a febbraio: i chiarimenti
Quali sono le principali differenze tra gli importi di pensione di febbraio in arrivo e quelli percepiti a gennaio? Il cedolino delle pensioni sarà disponibile a breve nella propria area riservata del sito dell’Inps e i pagamenti partiranno da sabato primo febbraio 2025 per i titolari di conti correnti postali, mentre lunedì 3 febbraio saranno accreditati ai correntisti bancari e per il ritiro direttamente alle Poste si dovrà seguire il consueto calendario previsto per iniziale del cognome.
Precisiamo che il ricalcolo della pensione per effetto della rivalutazione è avvenuto sul tasso dello 0,8% e in base agli importi percepiti.
E' stato pieno, infatti, per le pensioni fino a quattro volte il minimo (2.394,44 euro), del 90% per i trattamenti tra quattro e cinque volte il minimo (2.394,44-2.993,05 euro) e al 75% per gli importi superiori a cinque volte il minimo.
Una volta ricevuto il nuovo importo di pensione rivalutato e con i relativi arretrati calcolati, dal prossimo mese di marzo si percepirà regolarmente il trattamento direttamente con il calcolo della rivalutazione 2025, e così per tutto l’anno, che, però, porta aumenti davvero irrisori delle cifre mensili.
A febbraio cambiamo anche le pensioni minime: gli importi che saranno erogati saranno di 603,40 euro lordi mensili, che diventano 616,67 euro grazie alla maggiorazione extra introdotta nel 2023 e per quest’anno ridotta dal 2,7% al 2,2%.
Ci sono ulteriori novità per le pensioni anche per quanto riguarda i coefficienti di trasformazione, fondamentali per il calcolo trattamento pensionistico finale, che, però, sono entrate in vigore già a gennaio 2025.
Sono stati, infatti, ridotti i coefficienti del montante contributivo, con conseguenze dirette sulla determinazione degli assegni futuri.
La modifica prevede una riduzione rispetto ai valori precedenti, per cui il coefficiente di trasformazione per l’età pensionabile di 67 anni è sceso dal 5,723% del biennio 2023-2024 al 5,608%. In base all’età di uscita dal lavoro, il coefficiente varia, con un valore minimo di 4,536 a 60 anni e un massimo di 6,510 a 71 anni.
Secondo le stime della Cgil, un pensionato con un reddito annuo di 30.000 euro, considerando i nuovi coefficienti rispetto ai precedenti, subirà una riduzione di circa 25 euro mensili, con una perdita annua di oltre 326 euro e una decurtazione complessiva di oltre 5.000 euro durante l’intero periodo pensionistico.
Nulla cambia, invece, per il pagamento delle tasse mensili, cioè Irpef nazionale e addizionali locali, e per le trattenute applicate.
L’Inps effettua, infatti, a inizio anno il ricalcolo a consuntivo delle ritenute erariali (cioè Irpef e addizionali locali a saldo) relative al 2024 in base all’importo complessivo delle pensioni pagate.
Se le trattenute sono state effettuate in misura inferiore rispetto a quanto dovuto su base annua, allora lo stesso Istituto recupera le differenze a debito e lo fa sulle pensioni di gennaio e febbraio 2025.
Se, però, l’importo annuo complessivo dei trattamenti pensionistici risulta fino a 18mila euro e il ricalcolo dell’Irpef ha determinato un conguaglio a debito di importo superiore a 100 euro, le trattenute sugli assegni si applicano per 11 mesi, da gennaio fino a novembre, per cui si calcolano anche per il mese di febbraio.