Il cuore della questione affrontato dalla Cassazione non è nella forma contrattuale, ma nella sostanza del rapporto lavorativo.
Con la sentenza 9544 dell'11 aprile 2025, la Corte di Cassazione ha posto un punto fermo nel dibattito giuridico sulla validità dei licenziamenti privi di motivazione, soprattutto se relativi a collaboratori autonomi ma operanti in condizioni che rientrano di fatto nel perimetro del lavoro subordinato. Il caso trattato riguarda un perito assicurativo, il cui rapporto era regolato da una convenzione stipulata nel 2011, etichettata come contratto a progetto. Dal 2014 in poi, le modalità effettive della prestazione avevano assunto le caratteristiche di un rapporto subordinato: continuità operativa, coordinamento con l'organizzazione aziendale e assenza di un progetto specifico.
Quando nel 2017 il lavoratore ha ricevuto la comunicazione di recesso da parte dell'azienda, priva di una reale motivazione, decise di adire le vie giudiziarie. La Corte d'Appello gli diede in parte ragione, riconoscendo il passaggio implicito da collaborazione a subordinazione. Ma fu solo in Cassazione che si raggiunse un chiarimento definitivo sulla portata giuridica e costituzionale della mancanza di motivazione nel licenziamento.
La compagnia assicurativa aveva tentato di sostenere che, trattandosi di un professionista iscritto in un ruolo, la presunzione di subordinazione non fosse applicabile. Ma la Suprema Corte ha disatteso questa interpretazione, chiarendo che il ruolo non è equivalente all'iscrizione in un albo professionale riconosciuto ai fini di esclusione dalla disciplina. Il progetto era inesistente, e quindi mancava il presupposto per configurare un contratto a progetto valido. Da ciò la conversione automatica del rapporto in un contratto di lavoro subordinato, con tutte le tutele che ne conseguono.
Il passaggio più innovativo della sentenza riguarda il valore della motivazione nel provvedimento di licenziamento. Secondo la Cassazione, non si tratta di un mero adempimento formale, ma di un elemento sostanziale del diritto di difesa del lavoratore. Se un'azienda si limita a interrompere un rapporto di lavoro - anche autonomo - senza fornire motivazioni concrete e specifiche, si configura una lesione sostanziale dei diritti del lavoratore.
In questi casi, ha affermato la Corte, non si può applicare la tutela minima prevista dall'articolo 18, comma 6, dello Statuto dei Lavoratori, ma si deve ricorrere alla tutela più incisiva del comma 4 dello stesso articolo. Questa norma prevede la cosiddetta reintegra attenuata ovvero la riammissione nel posto di lavoro accompagnata da un risarcimento economico fino a 12 mensilità. Per la Cassazione l'assenza totale di motivazione equivale a mancanza del fatto giustificativo.
Ed è stato sottolineato che la violazione del diritto a conoscere le ragioni del recesso impedisce qualsiasi possibilità di contestazione da parte del lavoratore. Questo squilibrio, secondo la Corte, non può essere tollerato nell'ordinamento democratico italiano, fondato sul principio di lealtà e trasparenza nei rapporti giuridici.