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Naspi non deve essere restituita in casa di reintegro nel posto del lavoro in determinate condizioni secondo Cassazione

di Marianna Quatraro pubblicato il
Reintegro nel posto del lavoro

La restituzione della NASpI in caso di reintegro nel posto di lavoro è oggetto di dibattito tra normativa, interpretazioni INPS e ultime sentenze della Cassazione.

L'indennità di disoccupazione, meglio nota come NASpI, rappresenta una misura di tutela economica destinata a chi perde involontariamente il lavoro subordinato. Negli ultimi anni, il tema della restituzione di tale sussidio ha acquisito rilevanza, soprattutto in situazioni in cui, a seguito di una sentenza, il rapporto di lavoro viene reintegrato con effetti retroattivi. Questo contesto pone interrogativi sostanziali circa il diritto effettivo a trattenere l'indennità durante il periodo in cui il lavoratore è rimasto, nella pratica, senza reddito, nonostante a posteriori la sentenza affermi la continuità del rapporto.

Spesso le richieste di rimborso da parte dell'INPS si basano su un'interpretazione rigida della legge che ignora la realtà materiale vissuta dal lavoratore. Pertanto, la questione centrale riguarda non solo i meccanismi di restituzione, ma anche i principi costituzionali di equità e tutela che devono guidare l'intera materia della "Naspi non deve essere restituita Cassazione". L'attenzione della giurisprudenza e della pubblica amministrazione si concentra oggi sulla necessità di bilanciare la coerenza normativa con la giustizia sostanziale, alla luce di recenti pronunciamenti delle Sezioni Unite della Cassazione e della Corte Costituzionale.

Il quadro normativo e i principi costituzionali sulla tutela del lavoratore

Il sistema della NASpI è regolato principalmente dal Decreto legislativo n. 22/2015, che disciplina sia le modalità di accesso sia le cause di decadenza dall'indennità. Il punto chiave, sancito dall'articolo 8 del citato decreto, impone la restituzione dell'anticipo qualora il beneficiario instauri un rapporto di lavoro subordinato prima della scadenza del periodo teorico coperto dalla prestazione.

Tuttavia, il principio di tutela del lavoratore è scolpito nell'articolo 38 della Costituzione, che sancisce il diritto di ogni cittadino, in caso di disoccupazione involontaria, a ricevere un sostegno economico adeguato alle proprie esigenze di vita. Le recenti sentenze della Corte Costituzionale (n. 90/2024) e della Cassazione puntano proprio su questa disposizione, osservando come la tutela non possa essere tradotta in una previsione meramente astratta o formale, bensì debba rispondere a criteri di effettività.

Di conseguenza, il mero riconoscimento retroattivo di un rapporto di lavoro non può annullare il periodo in cui il lavoratore ha vissuto senza stipendio e senza reale possibilità di rientrare nel posto di lavoro. Il sistema normativo e costituzionale impone, quindi, un bilanciamento tra la certezza del diritto e la reale situazione socio-economica dell'interessato, valorizzando il concetto di disoccupazione involontaria come condizione concreta e non meramente giuridica.

La posizione dell'INPS e l'interpretazione formalistica della disoccupazione

L'INPS ha storicamente adottato un approccio formalistico relativamente alla disoccupazione e all'obbligo di restituzione della NASpI. L'Istituto previdenziale interpreta le pronunce di reintegra e di retroattività secondo criteri giuridici strettamente formali: una volta che il giudice dichiara nullo il licenziamento, “sulla carta” il lavoratore non sarebbe mai stato disoccupato. Questa ricostruzione, però, si scontra frequentemente con la realtà dei fatti, in quanto il dipendente, tra il licenziamento e la reintegra effettiva (spesso solo teorica o impedita da cause esterne, come il fallimento dell'azienda), rimane privo di occupazione e reddito.

Le richieste di rimborso dell'INPS – fondate sulla retroattività delle pronunce – risultano quindi spesso non ragionevoli dal punto di vista della protezione sociale. A tal riguardo, la giurisprudenza si è divisa tra chi riteneva il sostegno previdenziale un indebito da restituire integralmente e chi, invece, valorizzava l'effettiva condizione di bisogno. L'approccio formalista dell'ente, prevalentemente espresso nelle sue circolari e nella prassi, non sempre ha tenuto conto dei principi costituzionali di effettività della tutela. Tale interpretazione ha generato non pochi contenziosi e richieste di chiarimento, per cui era sempre più urgente chiarire se la "Naspi non deve essere restituita Cassazione" fosse un principio applicabile anche alle nuove fattispecie di disoccupazione e reintegra.

La svolta delle Sezioni Unite: il principio della situazione economica effettiva

La pronuncia storica delle Sezioni Unite della Cassazione ha definitivamente segnato un cambio di paradigma, ancorando il diritto all'indennità di disoccupazione alla realtà economica concreta vissuta dal lavoratore. Il nuovo indirizzo giurisprudenziale respinge l'automatismo ex tunc della ricostruzione del rapporto di lavoro quale unico criterio dirimente: l'essenza della disoccupazione involontaria risiede nella concreta privazione della prestazione lavorativa e della relativa retribuzione, non nell'astratta esistenza di un contratto. Viene così ricondotto il sistema ai principi dell'articolo 38 Cost., riaffermando che nessuna finzione giuridica può cancellare i periodi di reale bisogno economico. Il lavoratore può quindi legittimamente trattenere la NASpI ricevuta nei periodi in cui non abbia prestato servizio né percepito reddito, anche se, successivamente, una sentenza abbia ordinato la reintegra sul posto di lavoro.

Anche in materia di anticipazione NASpI per autoimprenditorialità, la Corte Costituzionale ha stabilito che non si può imporre la restituzione integrale dell'importo percepito qualora l'attività autonoma si sia effettivamente avviata e solo successivamente sia intervenuta la prestazione subordinata per cause non imputabili all'ex lavoratore. Il diritto al sostegno previdenziale si rapporta non soltanto all'aspetto normativo, ma soprattutto al vissuto economico e professionale della persona, configurando così un principio di proporzionalità e adeguatezza delle richieste di rimborso. Questa nuova linea di indirizzo è ormai chiaramente estesa anche alle più recenti forme di ammortizzatori sociali, inclusa la NASpI.

Applicazioni pratiche: conversione del contratto a termine e altre fattispecie giuridiche

Le recenti pronunce giurisprudenziali si sono focalizzate anche sul caso della conversione retroattiva di un contratto a termine in contratto a tempo indeterminato. In tali circostanze, secondo alcuni precedenti (Cass. 24645/2023), il diritto a percepire la NASpI verrebbe meno, poiché la sentenza elimina retroattivamente lo stato di disoccupazione. Tuttavia, un diverso orientamento, avallato dalla nuova linea delle Sezioni Unite, sottolinea il periodo in cui il lavoratore ha effettivamente vissuto senza occupazione e senza retribuzione, rendendo ingiustificata la richiesta di restituzione dei contributi ricevuti. In altre fattispecie, come nel caso di avvio di attività autonoma e successiva impossibilità a proseguirla per cause di forza maggiore, si è affermato il principio secondo cui l'obbligo restitutorio deve essere limitato esclusivamente al periodo di lavoro subordinato effettivamente svolto.

Fra le ipotesi più frequenti troviamo:

  • Lavoratore che percepisce NASpI dopo la fine di un contratto a termine e, solo a distanza di tempo, ottiene la conversione giudiziale
  • Reintegra sulla carta senza effettivo rientro e percezione dello stipendio
  • Avvio di lavoro autonomo con NASpI anticipata, seguito da contratto subordinato per causa non imputabile al lavoratore
In ognuna di queste casistiche, il criterio centrale che oggi prevale è quello dell'effettiva situazione economica e dello stato di bisogno provato, ponendo al centro la persona e le sue reali condizioni di vita.

L'interpretazione normativa e giurisprudenziale delle ipotesi di restituzione della NASpI si è infine consolidata su un principio di proporzionalità. La sentenza n. 90/2024 della Corte Costituzionale e la successiva Circolare INPS 36/2025 sanciscono che il rimborso non può essere richiesto integralmente se il lavoratore ha vissuto impedimenti oggettivi non imputabili a sé per proseguire l'attività avviata con l'anticipo. In presenza di rioccupazione con contratto subordinato prima della scadenza del periodo teorico di spettanza, l'ente previdenziale è obbligato ad avviare una fase istruttoria per verificare l'esistenza di cause di forza maggiore. In caso positivo, il ripristino dell'indebito sarà commisurato alla sola durata del rapporto subordinato. 
Di seguito una tabella riepilogativa delle attuali opzioni:

Tipologia situazione

Obbligo restituzione

Reintegra solo formale e nessuna effettiva ripresa lavorativa

Nessun rimborso dovuto

Contratto subordinato nel periodo di NASpI anticipata per causa non imputabile

Restituzione solo proporzionale ai giorni lavorati

Avvio volontario di contratto subordinato

Obbligo restituzione integrale

La nuova disciplina impone quindi criteri oggettivi e documentazione delle condizioni effettive, graduando l'onere restitutorio a tutela di chi abbia effettivamente vissuto situazioni di vulnerabilità economica, in linea con le garanzie costituzionali.

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