Dal 2006 il tuo sito imparziale su Lavoro, Fisco, Investimenti, Pensioni, Aziende ed Auto

Nuova inchiesta sul caporalato nella moda: le accuse a 13 aziende tra cui D&G, Prada, Gucci e Versace della Procura di Milano

di Marcello Tansini pubblicato il
nuova inchiesta caporalato su 13 aziende

Inchiesta sul caporalato nella moda di lusso: 13 aziende, tra cui D&G, Prada, Gucci, Versace, sotto accusa. Scopri reazioni e contromisure.

La filiera produttiva dell’abbigliamento di lusso italiano si trova al centro di una nuova e ampia indagine avviata dalla Procura di Milano. L’attenzione delle autorità si è concentrata sulle modalità in cui alcune fasi della produzione vengono delegate, tramite appalti e subappalti, a opifici e laboratori clandestini gestiti da imprenditori senza scrupoli. In questa cornice, sono stati individuati numerosi casi di sfruttamento di lavoratori, in particolare provenienti dalla comunità cinese, ai quali sono stati negati i diritti più elementari in tema di sicurezza, orari e retribuzioni.

L’impatto delle nuove inchieste non si limita solo a singoli episodi: a emergere è un sistema molto esteso, che coinvolge grandi marchi e fornitori intermedi, generando rischi tangibili per la reputazione dell’intero settore moda Made in Italy. Le recenti attività ispettive condotte dal Nucleo Tutela Lavoro dei carabinieri hanno portato al sequestro di numerosi capi con marchi di maisons di prestigio.

Le accuse e il coinvolgimento delle aziende: dinamiche, filiere e responsabilità

Le accuse mosse a 13 marchi del lusso rappresentano un evento di grande rilievo nella storia giudiziaria del settore della moda. Le indagini della Procura milanese, coordinate dal PM Paolo Storari e condotte insieme ai carabinieri dell’Ispettorato del lavoro, hanno reso noto che brand come Dolce & Gabbana, Prada, Versace, Gucci, Missoni, Ferragamo, Yves Saint Laurent, Givenchy, Pinko, Coccinelle, Adidas, Alexander McQueen Italia e Off-White Operating, sono stati inseriti nei fascicoli relativi a fenomeni di sfruttamento lungo le filiere produttive. Questi marchi, seppur con livelli differenti di coinvolgimento, risultano committenti i cui prodotti sono stati rinvenuti all’interno di opifici clandestini dove operavano lavoratori privi di tutela.

Le aziende, in molte fasi della produzione, affidano commesse a appaltatori e subappaltatori che, a loro volta, si rivolgono a laboratori esterni per garantire velocità e competitività. È proprio in questi snodi intermedi che sono stati individuati comparti gestiti da imprenditori irregolari, in particolare cinesi, che sfruttavano manodopera senza rispettare le norme su sicurezza e compenso.

Le evidenze raccolte dai carabinieri indicano che:

  • Numerosi lavoratori sono stati trovati in condizioni di palese sfruttamento.
  • Produzioni commissionate alle aziende coinvolte venivano effettivamente realizzate in laboratori non conformi alla normativa.
  • I marchi e gli articoli prodotti risultavano sequestrati e pronti all’immissione sul mercato, in violazione delle elementari regole a tutela del lavoro.
La Procura, in particolare, ha richiesto agli indagati tutta una serie di documenti:
  • Modelli organizzativi adottati secondo il D.Lgs. 231/2001
  • Contratti e rapporti infragruppo
  • Gestione e monitoraggio dei fornitori
  • Tracciabilità della filiera
  • Sistemi di controllo interni e risultati degli audit
  • Codici di condotta e segnalazioni whistleblowing
  • Attività di formazione del personale negli ultimi due anni
  • Verbali dei consigli di amministrazione e degli organismi di vigilanza
Sotto il profilo giuridico, il faro delle indagini resta puntato sulla capacità di prevenzione e sulla reale efficacia degli strumenti aziendali disposti per garantire il rispetto della normativa vigente. Le maison devono dimostrare di aver adottato presidi idonei, pena il rischio di interdittive e commissariamenti volti a bonificare la catena dagli elementi patologici.

L’approccio della Procura, almeno in questa fase iniziale, è stato descritto come una “misura light” che offre ai brand l’opportunità di intervenire prontamente sulle criticità interne prima di procedere a provvedimenti più severi. L’esperienza di alcune realtà già colpite da amministrazione giudiziaria o indagini, come Alviero Martini, Valentino Bags Lab, Loro Piana o Tod’s, rappresenta un precedente di eccezionale rilievo nella lotta al caporalato industriale.

La complessità del fenomeno emerge anche da un ulteriore elemento: la responsabilità oggettiva dei marchi rispetto alle pratiche messe in atto dai partner di filiera. Secondo il D.Lgs. 231/2001, le aziende sono tenute a dotarsi di modelli organizzativi adeguati e ad attuare controlli periodici lungo tutta la filiera produttiva. La mancata adozione o l’inadeguatezza di tali strumenti può comportare non soltanto sanzioni penali, ma gravi danni d’immagine e pesanti ripercussioni commerciali.

L’espansione delle indagini risponde, quindi, all’esigenza di prevenire ulteriori condotte lesive dei diritti dei lavoratori e di sottolineare la necessità di un cambiamento strutturale nei rapporti tra maison e fornitori. Il quadro che emerge dai provvedimenti giudiziari restituisce una fotografia articolata della debolezza dei sistemi di certificazione interna, sottolineando l’urgenza di garantire trasparenza, sicurezza e una gestione etica della catena del valore.

Reazioni delle maison e misure di prevenzione: strategie e soluzioni per contrastare lo sfruttamento

Alla luce dell’ultima ondata di accertamenti, le principali case di moda hanno adottato un approccio difensivo e propositivo al tempo stesso. La strategia prevalente si concentra sull’implementazione di sistemi di controllo più rigorosi, sul rafforzamento della tracciabilità della filiera e sul consolidamento delle iniziative di formazione interna destinate a tutto il personale coinvolto nelle attività produttive.

Molte aziende coinvolte hanno rilasciato dichiarazioni ufficiali o sono intervenute presso i giudici, sottolineando la volontà di collaborare pienamente con le autorità e di apportare rapidamente adeguamenti organizzativi per conformarsi alla normativa. Un esempio recente viene da Tod’s, che ha richiesto più tempo per presentare il piano di rafforzamento dei controlli interni, ponendo particolare attenzione a garantire condizioni di lavoro dignitose lungo la filiera, considerandole parte integrante della propria identità aziendale.

Per una maggiore trasparenza, le maison hanno intrapreso le seguenti azioni:

  • Riorganizzazione delle procedure di selezione e monitoraggio dei fornitori
  • Incremento degli audit interni e delle verifiche a sorpresa nei laboratori terzi
  • Revisione dei codici di condotta e diffusione di linee guida etiche obbligatorie
  • Introduzione di canali di segnalazione e protezione whistleblowing per il personale
  • Potenziamento delle attività di formazione su temi di legalità, sicurezza e diritti dei lavoratori
L’efficacia di tali misure è stata portata all’attenzione della magistratura, che valuterà caso per caso la reale idoneità delle strategie adottate. Il riferimento al D.Lgs. 231/2001 resta centrale, poiché “l’idoneità dei modelli organizzativi a prevenire fenomeni di caporalato” costituirà il discrimine tra un’eventuale esclusione dalle accuse e la possibilità di essere sottoposti a misure interdittive o commissariamenti temporanei.

Il dibattito sollevato dall’inchiesta milanese sollecita l’intero settore a rivalutare le sinergie tra maison, produttori e istituzioni, promuovendo una cultura della legalità che sia realmente perseguibile sia a livello normativo che operativo. Nel medio periodo, la direzione indicata dagli inquirenti sembra orientata verso una maggiore responsabilizzazione delle aziende di punta del made in Italy, cui spetterà il compito di farsi promotrici di modelli produttivi virtuosi e di diffondere standard innovativi e trasparenti lungo la catena del valore.