Oggi 13 novembre si torna al tavolo della trattativa per il rinnovo del Ccnl Metalmeccanici 2024-2027: i temi da affrontare e i nodi ancora da sciogliere
La contrattazione per il rinnovo del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro destinato ai metalmeccanici assume quest’anno un peso decisivo, proprio nella tornata negoziale di metà novembre. Gli incontri programmati per oggi, 13 novembre, e domani, 14, pongono al centro dell’attenzione la necessità di trovare punti di sintesi tra le esigenze dei lavoratori e quelle delle imprese.
L’industria metalmeccanica rappresenta uno dei motori più robusti del tessuto economico nazionale, per peso occupazionale e contributo al PIL. Oltre 1,6 milioni di addetti lavorano in ambiti che comprendono la produzione di autoveicoli, impiantistica, siderurgia, aerospaziale ed energetica, in aziende leader internazionali e in una miriade di PMI che costituiscono una rete strategica per l’export italiano.
Il comparto incide per circa l’8% del prodotto interno lordo, assicurando il 45% delle esportazioni e il 6,2% dell’occupazione nazionale, secondo dati aggregati di organizzazioni sindacali e rapporti di ricerca di settore.
La trattativa per il rinnovo in corso si articola fin da inizio 2024 su incontri intensi, scanditi da momenti di apertura e fasi di stallo. Da marzo si sono susseguite numerose sessioni tra FIM, FIOM, UILM (le principali sigle sindacali del settore) e le controparti datoriali Federmeccanica e Assistal, con una cronologia che ha visto un picco di mobilitazioni e un sussulto nei tavoli tecnici a ridosso dell’autunno.
Nei diversi appuntamenti, tra cui le giornate del 22 e 23 e 30 e 31 ottobre, sono stati analizzati i principali temi normativi ed economici. Le delegazioni hanno discusso non solo le questioni salariali e d’orario, ma anche riforme sull’inquadramento professionale, diritto soggettivo alla formazione continua, rafforzamento dei diritti di informazione e dei sistemi di sicurezza e salute, partecipazione e politiche di genere.
Il clima nelle ultime settimane ha oscillato tra aperture e nuove rigidità, specie in relazione agli aspetti economici e di welfare. L’attenzione ora converge sulle giornate di negoziazione di metà novembre, in cui le parti dovranno affrontare con decisione i nodi rimasti irrisolti per evitare il protrarsi della cosiddetta “vacanza contrattuale”.
Le piattaforme presentate dalle due sponde del tavolo negoziale mettono in evidenza una distanza su diversi fronti. Da una parte, le sigle sindacali FIM, FIOM e UILM chiedono un aumento salariale strutturale di 280 euro mensili su base triennale, un adeguamento che tiene conto di una perdita del potere d’acquisto registrata negli ultimi anni.
Sul welfare, la richiesta mira a un potenziamento dei benefit contrattuali (fino a 250 euro annui) e l’istituzione di una piattaforma nazionale di servizi di sostegno. Tra gli obiettivi vi sono anche un rafforzamento della previdenza complementare e della sanità integrativa, oltre a una graduale riduzione dell’orario di lavoro, anche in chiave sperimentale, verso le 35 ore settimanali.
Sul fronte datoriale, Federmeccanica e Assistal ribadiscono la sostenibilità e la competitività come punti cardine. Le controproposte privilegiano incrementi legati all’indice IPCA-NEI (inflazione depurata dai costi energetici importati), raddoppio del valore annuo del welfare aziendale fino a 400 euro e bonus una tantum da 700 euro solo per chi non ha premi di risultato aziendali. La durata del nuovo contratto viene suggerita al 2028, introducendo anche novità sugli scatti di anzianità e nuovi strumenti di flexible benefits, ma senza concedere aumenti retributivi fissi oltre l’indicizzazione.
Gli incontri previsti a novembre puntano a sciogliere nodi reputati prioritari per lavoratori e imprese. Gli argomenti in discussione includono:
Nonostante i passi avanti registrati su alcuni capitoli normativi e la disponibilità a dialogare su salute, sicurezza e politiche di genere, permangono divergenze strutturali. La richiesta sindacale di un incremento fisso della paga base si scontra con l’intransigenza datoriale, che preferisce limitare gli aumenti al solo meccanismo di adeguamento all’inflazione.
Il tema della riduzione dell’orario resta particolarmente critico: la proposta di scendere progressivamente a 35 ore settimanali viene vista dalle imprese come un rischio per la produttività, specie in un contesto di rallentamento della domanda e compressione dei margini.
Anche in campo welfare le posizioni sono ancora distanti: le sigle sindacali puntano su una piattaforma unica, nazionale e universale, mentre la controparte vuole ampliare solo i flexible benefits, spesso legati a performance aziendali. Infine, su previdenza e misure per i giovani e le donne, le parti devono ancora trovare una sintesi sulla contribuzione e sulle modalità di incentivazione dell’adesione ai fondi integrativi. Questi nodi saranno centrali nel negoziato in corso.
Le giornate del 13 e 14 novembre appaiono decisive per misurare la reale distanza rimasta tra le parti. Gli scenari che si delineano tendono a oscillare tra una possibile intesa nelle prossime settimane, favorita dall’urgenza di dare risposte certe a circa 1,6 milioni di lavoratori, e la prospettiva di un ulteriore stand-by in assenza di concessioni significative, soprattutto sul salario. Le attese degli addetti e delle reti sindacali convergono su un accordo in grado di garantire sia il potere d’acquisto che nuove tutele in termini di flessibilità, transizioni professionali e welfare.