La disciplina dei permessi retribuiti previsti dalla Legge 104 rappresenta una delle tutele più rilevanti nell'ordinamento italiano per chi deve assistere un familiare disabile. Negli ultimi anni, il tema degli abusi legati a questi permessi è stato al centro del dibattito giurisprudenziale e normativo. Le più recenti pronunce, tra cui la sentenza del Tribunale di Bologna n. 731/2025, hanno ridefinito i confini tra uso legittimo, abuso sistematico e irregolarità occasionali.
Normativa di riferimento e finalità dei permessi retribuiti ex Legge 104/1992
La Legge 104 garantisce permessi lavorativi retribuiti per l’assistenza a persone riconosciute in situazione di handicap grave. In particolare, il testo stabilisce che il lavoratore dipendente, pubblico o privato, può fruire fino a tre giorni al mese di permesso pagato. Le finalità di questa normativa sono:
- sostenere i caregiver nell’adempimento dei compiti assistenziali senza minare la stabilità del rapporto di lavoro
- agevolare l’inclusione sociale e il benessere delle persone disabili
- promuovere la conciliazione tra esigenze personali/familiari e attività lavorativa
Il diritto ai permessi si attiva solo se il familiare non è ricoverato a tempo pieno in una struttura residenziale che assicuri assistenza continua. L’utilizzo deve essere rigorosamente finalizzato all'assistenza, requisito che ha generato numerose controversie interpretative, in particolare sul significato e sull’estensione delle attività di supporto ammesse.
Abuso dei permessi: criteri, casistica e distinzioni giurisprudenziali
La giurisprudenza prevede delle distinzioni tra comportamenti scorretti episodici, abituali e sistematici. L’abuso di permesso si configura quando il lavoratore impiega il tempo concesso per finalità estranee all’assistenza (attività personali, svago non riconducibile ad esigenze del familiare disabile). La gravità e la reiterazione sono fattori essenziali nella valutazione della sanzionabilità:
- abuso totale: mancanza assoluta di attività assistenziale durante i permessi, spesso associata a comportamenti fraudolenti
- abuso parziale: compresenza di attività lecite e illecite, come l’utilizzo dei permessi per impegni personali solo in alcune giornate
- assistenza indiretta: svolgimento di pratiche burocratiche e incombenze per conto del familiare, valutate come compatibili laddove chiaramente finalizzate al suo interesse.
La sentenza n. 731/2025 del Tribunale di Bologna: i fatti e la decisione
Un caso concreto ha coinvolto un dipendente con la qualifica di custode, accusato dall’azienda di aver utilizzato
i permessi retribuiti della Legge 104 per occuparsi di questioni personali anziché di assistenza alla madre affetta da grave patologia. La società aveva prodotto rapporti investigativi a sostegno dell’accusa.
Il Tribunale di Bologna, con la sentenza n. 731/2025, ha stabilito per chi usufruisce dei permessi della Legge 104 che l’abuso solo parziale di questi permessi non può giustificare il licenziamento.
I giudici hanno analizzato dettagliatamente i fatti, valutando con precisione:
- la documentazione delle indagini
- l'eventuale svolgimento di assistenza, sia diretta che indiretta
- il contesto oggettivo, incluso il periodo aziendale di ferie collettive
La sentenza ha stabilito che solo in due delle cinque giornate contestate era dimostrata l’assenza di attività assistenziale, mentre negli altri casi risultavano svolte attività connesse alle esigenze della madre, tra cui pratiche burocratiche presso strutture competenti e convivenza presso il domicilio dell’assistita.
Il provvedimento ha riconosciuto che l’errore era circoscritto e non denotava un intento fraudolento continuativo, rendendo sproporzionata l’irrogazione del licenziamento. Il lavoratore è stato reintegrato, la sanzione massima si è rivelata illegittima secondo i principi espressi dalla giurisprudenza più recente.
Proporzionalità della sanzione: limiti al licenziamento in caso di abuso parziale
La proporzionalità tra infrazione e sanzione costituisce un principio cardine del diritto del lavoro. Nel caso esaminato dal Tribunale di Bologna, la condotta censurabile del dipendente, limitata e non reiterata, non ha raggiunto la soglia tale da interrompere in modo definitivo il rapporto fiduciario con l’azienda. Il giudice ha ribadito che:
- il licenziamento è una misura eccezionale e, in casi di abuso parziale, possono essere adottati provvedimenti differenti (richiami, sospensioni, sanzioni pecuniarie)
- è necessario valutare il complesso delle circostanze, inclusi il carattere occasionale dei comportamenti e il contesto specifico (es. trasformazione delle ferie in permessi, collaborazione del dipendente)
- l’assenza di dolo e sistematicità riduce la gravità del comportamento antisindacale.
Il ruolo delle prove: quando l’indagine aziendale non basta
Affinché il licenziamento sia legittimo in caso di
abuso dei permessi, è richiesta una
prova certa, chiara e totale dell’effettivo uso illecito. Le risultanze investigative, per essere considerate idonee, non devono lasciare dubbi circa:
- la mancanza di qualsiasi attività assistenziale per l’intera durata dei permessi contestati
- l’intenzionalità fraudolenta del comportamento
- l’eventuale presenza di un piano reiterato e sistematico di abuso
Nel caso in esame, le indagini presentavano importanti
criticità: osservazione parziale, perdita di contatto con il lavoratore e incapacità di escludere l’effettivo svolgimento, anche solo temporaneo, di assistenza.
Implicazioni pratiche per lavoratori e datori di lavoro dopo la sentenza
La decisione del Tribunale di Bologna è destinata a incidere sulle pratiche aziendali e sulle strategie difensive dei lavoratori. Per gli addetti che usufruiscono dei permessi:
- si rafforza la consapevolezza che il diritto non decade automaticamente in caso di uso parziale non lecito
- è necessario documentare sempre l’attività svolta, anche indirettamente, a favore del familiare assistito
Per i datori di lavoro, invece:
- è richiesta massima accuratezza nelle indagini e nelle contestazioni disciplinari
- un comportamento non sistematico o la presenza di attività assistenziale, anche parziale o indiretta, non giustifica provvedimenti espulsivi
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