Chi decide di prendersi cura di un parente fragile in maniera volontaria, diventa, anche senza saperlo, suo garante legale e non può abbandonarlo: cosa ha stabilito la nuova sentenza n.26473 del 2025 della Corte di Cassazione
L’ordinamento italiano riconosce una rete di responsabilità nei rapporti di parentela, ampliando sempre più il concetto di assistenza dovuta ai familiari in condizioni di fragilità. La recente sentenza della Cassazione n. 26473/2025 ha ridefinito il perimetro di tale obbligo, stabilendo che esso può insorgere anche senza un’esplicita consapevolezza o manifestazione di volontà da parte del familiare interessato. In un contesto di continuo aggiornamento giurisprudenziale, diventa essenziale comprendere quando e come scatti il dovere di sostenere un parente, specie se la vulnerabilità è evidente o attestata da condizioni sanitarie o psicofisiche certificate.
L’amministrazione di sostegno rappresenta un pilastro fondamentale per la tutela delle persone che, in ragione di una menomazione fisica o psichica, temporanea o permanente, non sono in grado di provvedere autonomamente ai propri interessi.
A differenza dell’interdizione o dell’inabilitazione, questo istituto garantisce una protezione «su misura», con interventi proporzionati alle reali esigenze della persona fragile. Il giudice tutelare, competente per territorio, nomina un amministratore principalmente su richiesta di un parente, del beneficiario stesso o anche d’ufficio.
I compiti di chi si prende cura del congiunto coinvolgono sia aspetti personali (assistenza sanitaria, supporto nella vita quotidiana, gestione relazioni affettive) sia patrimoniali (amministrazione beni, firma contratti, tutela risparmi):
La scelta di ignorare o non adempiere ai doveri di cura nei confronti di un parente fragile può comportare gravi conseguenze. Dal punto di vista civile, l’omissione dell’assistenza necessaria in presenza di una situazione che ne imponga l’obbligatorietà può configurare il diritto al risarcimento del danno sofferto dal soggetto abbandonato, soprattutto se ciò avviene in concomitanza con una condizione certificata di non autosufficienza. In ambito penale, la condotta omissiva può integrare fattispecie come la violazione degli obblighi di assistenza familiare, i maltrattamenti in famiglia o, nei casi più gravi, l’abbandono di persone incapaci. Dunque:
L’obbligo di assistenza familiare abbraccia due dimensioni complementari: quella materiale e quella morale. La prima implica il sostegno economico, la fornitura di beni essenziali, l’intervento pratico nei bisogni di base e l’accesso a cure e servizi. La seconda si collega soprattutto all’ascolto, alla presenza affettiva, al rispetto delle scelte individuali, all’incoraggiamento dell’autonomia e della volontà della persona vulnerabile.
| Assistenza morale | Assistenza materiale |
| Ascolto e dialogo | Supporto economico |
| Sostegno emotivo | Gestione spese mediche |
| Rispetto identità e volontà | Accompagnamento a visite e terapie |
| Promozione autonomia | Somministrazione farmaci |
Le pronunce degli ultimi anni forniscono importanti spunti interpretativi sul tema. La decisione della Cassazione n. 26473/2025 rappresenta un punto di svolta in tema di riconoscimento dell’obbligo familiare di assistenza anche in assenza di manifesta richiesta da parte dell’interessato.
Nel caso trattato, la Corte ha riconosciuto la sussistenza della responsabilità per la mancata attivazione a favore di un genitore in stato di grave malattia, pur essendo i figli a conoscenza della situazione di estrema necessità. La sentenza ha chiarito che la responsabilità si configura anche nei casi di inerzia senza giustificato motivo, sottolineando che il mero disinteresse o la sottovalutazione della gravità può avere rilevanza sia in ambito civile che penale.