Dal 2027 scatterà un nuovo adeguamento automatico legato all'allungamento della vita media, e gli osservatori internazionali stimano che per chi oggi entra nel mondo del lavoro l'età normale di uscita potrebbe collocarsi oltre i 70 anni.
In Italia la pensione di vecchiaia rimane fissata a 67 anni, requisito valido fino al 31 dicembre 2026 e applicabile a entrambi i generi senza distinzione. La soglia legale è stata costruita negli anni come un meccanismo di stabilità finanziaria, ancorato all'andamento della speranza di vita e destinato a salire nel tempo, seguendo la traiettoria demografica del Paese.
Dal 2027 scatterà un nuovo adeguamento automatico legato all'allungamento della vita media, e gli osservatori internazionali come l'OCSE stimano che per chi oggi entra nel mondo del lavoro l'età normale di uscita potrebbe collocarsi oltre i 70 anni, con l'Italia in linea con le economie più longeve e strutturate. Questa prospettiva getta una luce severa sul futuro.
Questa è soltanto la faccia teorica del problema. Se la legge parla di 67 anni, il percorso reale di vita lavorativa racconta una storia molto diversa. Non basta osservare l'età di pensionamento, occorre misurare anche quanti anni effettivi di lavoro vengono accumulati.
La durata media della vita lavorativa in Italia è pari a 32,8 anni, contro i 37,2 anni della media europea a 27 Stati. In pratica un cittadino italiano trascorre, nel corso della propria vita, quasi cinque anni in meno nel mercato del lavoro rispetto a un europeo medio. La differenza appare ancora più marcata se si guarda ai Paesi del Nord, dove si superano i 43 anni in Olanda e Svezia e i 42,5 in Danimarca.
La Germania registra circa 40 anni, la Francia 37,2, mentre la Spagna si attesta a 36,5. L'Italia rimane in fondo alla classifica, battuta soltanto dalla Romania, un dato che racconta quanto il nostro Paese fatichi a garantire stabilità occupazionale lungo tutto l'arco della vita attiva.
Questa forbice non dipende soltanto dalla legislazione pensionistica, ma da un mercato del lavoro che presenta ingressi tardivi, carriere spezzate e uscite anticipate. Ogni fase di precarietà o inattività riduce il totale degli anni lavorati.
Se guardiamo all'età reale di uscita, l'Italia registra nel 2024 un valore medio di 64,8 anni, più basso dei 67 stabiliti dalla norma ma più alto rispetto al passato. La spinta delle riforme, che hanno reso più restrittive le opzioni anticipate, ha innalzato la soglia, avvicinandola a quella teorica.
Dentro questa media nazionale convivono due scenari. Chi accede alla pensione di vecchiaia vi arriva a circa 67,2 anni, mentre chi sfrutta i canali di pensione anticipata esce attorno ai 61,6 anni, con requisiti legati soprattutto agli anni di contribuzione. Questa duplicità crea un quadro eterogeneo, dove le esperienze individuali divergono a seconda della storia lavorativa.
A determinare la possibilità di andare in anticipo è la lunga anzianità contributiva: 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne. Il problema è che molte carriere italiane, soprattutto quelle femminili, non raggiungono questi livelli per via di interruzioni frequenti, periodi di inattività e differenze territoriali che segnano il Mezzogiorno.
Il primo fattore è legato alla formazione e ai tempi di ingresso. La permanenza più lunga all'università, l'abuso di tirocini e l'instabilità iniziale fanno sì che gli italiani comincino a lavorare più tardi rispetto agli altri europei.
Il secondo elemento è la discontinuità occupazionale: contratti a termine, periodi di disoccupazione e alternanza frequente tra attività e inattività. Questi vuoti contrattuali, sommati a lunghi tempi di transizione, rendono più fragile la carriera contributiva.
Il terzo punto riguarda le donne. In Italia la vita lavorativa attesa femminile è di 28,2 anni, il valore più basso d'Europa. Le interruzioni legate alla maternità e alla cura familiare, combinate con un tasso di occupazione tra i più bassi dell'UE, comprimono la durata del lavoro femminile e producono assegni pensionistici più bassi.
L'INAPP ha stimato che nel 2050 ci sarà un rapporto quasi uno a uno tra lavoratori e pensionati: ogni occupato dovrà sostenere economicamente un pensionato.
La legge prevede che dal 2027 i requisiti vengano adeguati alla longevità. Questo significa che, se la vita media continuerà a salire, anche l'età legale della pensione crescerà. L'Italia si avvicinerà al traguardo dei 70 anni, in linea con le tendenze dell'OCSE.
Per ridurre la forbice tra teoria e pratica non basta alzare l'età legale: occorre aumentare i tassi di occupazione, soprattutto giovanili e femminili, ridurre la quota dei NEET e incoraggiare una maggiore permanenza al lavoro degli over 60.