La riorganizzazione interna nelle imprese rappresenta un processo complesso, spesso conseguenza di dinamiche economiche, evoluzioni tecnologiche o mutamenti strutturali del mercato.
Tali cambiamenti possono portare, tra le altre conseguenze, alla soppressione di alcune posizioni lavorative. Questo fenomeno si traduce spesso in una ridefinizione degli assetti organizzativi con diretto impatto sull’occupazione e sulle condizioni di lavoro degli addetti interessati.
In pratica, la razionalizzazione delle risorse può comportare l’eliminazione di ruoli specifici che, non essendo più funzionali all’assetto produttivo aziendale, vengono dismessi. Per i lavoratori coinvolti, questo si traduce nella necessità di affrontare nuove sfide, inclusa l’assegnazione a mansioni differenti.
Il quadro normativo sulle modifiche delle mansioni e sul repêchage: cosa prevede il codice civile e la giurisprudenza
L’assegnazione dei lavoratori a nuove mansioni, soprattutto in caso di riorganizzazione aziendale è disciplinata dal Codice Civile, che stabilisce che il dipendente deve essere impiegato secondo le mansioni per cui è stato assunto o, in alternativa, a mansioni corrispondenti al livello di inquadramento acquisito.
Nel caso di variazione degli assetti organizzativi, la legge consente il ricollocamento in mansioni di livello inferiore, ma appartenenti alla stessa categoria legale, garantendo in ogni caso la tutela retributiva e del livello.
La normativa vigente ha più volte ribadito che le modifiche delle mansioni sono ammesse solo entro precisi limiti: devono essere, infatti, sempre motivate da reali esigenze organizzative e non possono mai pregiudicare diritti consolidati.
Prima di un eventuale licenziamento per giustificato motivo oggettivo, il datore di lavoro ha uno specifico obbligo di repêchage, ovvero di ricollocamento all’interno dell’organizzazione di incarichi alternativi idonei, anche se di livello inferiore.
I diritti del lavoratore in caso di demansionamento sono così garantiti:
- Mantenimento del livello di inquadramento;
- Conservazione dello stipendio nella misura precedente (fatte salve le indennità collegate a specifiche attività non più svolte);
- Diritto alla formazione per l’adeguamento alle nuove mansioni, ove necessario.
I contratti collettivi, inoltre, possono disciplinare ulteriori dettagli e prevedere casi specifici, sia relativi ai casi di crisi aziendale che alle modalità di modifica delle mansioni.
Quando e come può essere proposto un demansionamento: limiti, modalità e tutele per il lavoratore
Il demansionamento può essere proposto solo nei casi previsti dalla legge, soprattutto a seguito di una modifica significativa degli assetti organizzativi aziendali o per ragioni di crisi aziendale. In tali casi, il datore di lavoro deve agire nel rispetto di precise condizioni, a partire dalla comunicazione scritta al lavoratore, pena la nullità dell’atto.
I limiti principali alla legittimità del demansionamento comprendono:
- Deve riguardare mansioni che appartengono comunque alla medesima categoria legale;
- La retribuzione deve essere mantenuta, salvo quegli elementi variabili legati alla specificità dell’attività precedente;
- L’operazione può avvenire anche su iniziativa individuale tramite accordo in sede protetta;
- Non può costituire una misura punitiva o discriminatoria;
Secondo quanto stabilito dalle sentenze della Cassazione e ribadito dalla Corte Costituzionale,
il ricorso al demansionamento è giustificato solo come soluzione alternativa reale al licenziamento e deve essere attuato con la massima trasparenza e correttezza, documentando ogni passaggio della procedura. Il lavoratore può avvalersi dell'assistenza sindacale o legale durante la negoziazione e la fase di accettazione.
Le tutele riconosciute comprendono:
- Piena informazione sugli effetti del mutamento di mansioni;
- Possibilità di impugnare atti non conformi alle previsioni normative o contrattuali;
- Diritto al ripescaggio (repêchage), ossia a essere ricollocato ove esistano alternative effettive in azienda;
Se il demansionamento non viene condotto in modo corretto o in assenza delle condizioni di legge, il lavoratore può rivolgersi all’autorità giudiziaria per la tutela dei propri diritti, con la possibilità di ottenere il ripristino della posizione lavorativa originaria o il risarcimento dei danni subiti.
Il diniego della mansione inferiore e le conseguenze: licenziamento per giustificato motivo oggettivo secondo la Cassazione
In presenza di una riorganizzazione che comporta la soppressione del posto occupato, può essere offerta una mansione inferiore quale unica alternativa al licenziamento. Se il lavoratore rifiuta la nuova mansione, può essere licenziamento per giustificato motivo oggettivo (GMO), purché il datore abbia assolto diligentemente all’obbligo di ricerca alternativa (repêchage) e abbia operato con lealtà e trasparenza. A stabilirlo è stata la Corte di Cassazione con la sentenza n.19556/2025.
In pratica, al lavoratore viene chiesto di scegliere tra accettare un demansionamento o perdere il posto. Con particolare riferimento al demansionamento, è bene specificare che si devono rispettare specifici limiti di inquadramento professionale.
Per esempio, un impiegato può essere ricollocato in mansioni impiegatizie inferiori, ma non può essere destinato a un ruolo da operaio.
I principi richiamati dalla Suprema Corte sono i seguenti:
- Obbligo stringente di repêchage: il datore è tenuto a esplorare ogni possibilità di ricollocamento, anche su posizioni di livello inferiore, compatibilmente con la professionalità e le condizioni personali del lavoratore;
- Non arbitrarietà: la scelta organizzativa deve essere genuina e non pretestuosa, con prova concreta dell’impossibilità di mantenere il dipendente in altre mansioni compatibili;
- Attenzione a situazioni protette: quando si tratta di lavoratori che godono di particolari tutele (ad esempio con disabilità o caregiver, ex Legge 104), la verifica delle alternative deve essere ancor più rigorosa;
- Trasparenza nella comunicazione: la proposta di mansione inferiore dev’essere formalizzata e motivata per iscritto.
Gli obblighi del datore e del lavoratore nella fase di riorganizzazione aziendale e repêchage
Nel contesto della riorganizzazione aziendale, emergono obblighi stringenti sia a carico del datore che del lavoratore. Il primo è tenuto a operare affinché la soppressione di una posizione non si traduca automaticamente in
licenziamento, ma sia preceduta da un’effettiva verifica delle possibilità di ricollocamento interno, rispettando la professionalità, le condizioni personali e le situazioni tutelate (es. caregiver, lavoratori con disabilità).
Le principali responsabilità del datore di lavoro comprendono:
- Comunicare per iscritto ogni proposta di variazione di mansioni con motivazione e dettagli;
- Effettuare il repêchage senza discriminazioni, adottando, se necessario, accomodamenti ragionevoli conforme alle direttive UE ed alle sentenze della Cassazione;
- Documentare con chiarezza le ragioni delle scelte organizzative e le alternative esplorate;
- Valutare soluzioni che non impongano un onere eccessivo alla struttura, ma che siano ispirate ad un corretto bilanciamento di interessi.
Al lavoratore è richiesto di:
- Valutare la proposta di mansioni alternative in buona fede;
- Motivare un eventuale rifiuto in modo circostanziato e tempestivo, preferibilmente con l’assistenza di rappresentanti sindacali o legali;
- Collaborare con l’azienda esplorando ogni possibilità di ricollocamento che non implichi una lesione delle condizioni essenziali di vita o del proprio stato di salute.
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