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Statali, uno su tre in pensione tra 10 anni. Un rischio o una oppurtunità epocale? I due scenari possibili

di Marianna Quatraro pubblicato il
Statali uno su tre pensione tra 10 anni

Oltre un terzo dei dipendenti pubblici nella fascia tra i 55 e i 59 anni è destinato a lasciare il servizio entro i prossimi dieci anni: gli ultimi dati Inps e le prospettive

Il panorama attuale della pubblica amministrazione italiana si trova davanti a una trasformazione senza precedenti. Secondo i dati Inps più recenti, oltre un terzo dei dipendenti pubblici nella fascia tra i 55 e i 59 anni è destinato a lasciare il servizio entro i prossimi dieci anni.

Ciò significa che più di un milione di persone appartenenti a diversi comparti, dalla scuola alla sanità, dagli enti locali alle forze armate, matureranno i requisiti necessari per il pensionamento entro il 2035.

Questo fenomeno di uscita di massa solleva una doppia questione: da un lato, il rischio incombente di un vuoto di competenze e personale; dall’altro, la possibilità di promuovere un ricambio generazionale capace di modernizzare la macchina amministrativa nazionale.

Quanti andranno in pensione: dati e numeri sugli statali nei prossimi dieci anni

Analizzando i dati forniti dall’Osservatorio Inps sul pubblico impiego emerge un quadro molto chiaro:

Lavoratori pubblici totali nel 2024 3.738.171
Fascia 55-59 anni 661.919 (17,7%)
Fascia 60-64 anni 551.632
Oltre 65 anni 170.000

La stima prevede che nel decennio 2025-2035 ben più di un milione di statali matureranno il diritto alla pensione. Considerato che il blocco fisiologico del turnover ha già fatto innalzare in modo sensibile l’età media della forza lavoro, il 76,6% dei dipendenti pubblici oggi ha almeno 40 anni. 

Nel dettaglio, la scuola rappresenta il comparto più numeroso (39,6% degli occupati pubblici), seguita da sanità, amministrazioni locali e forze armate. La retribuzione media annua per i dipendenti pubblici si attesta attorno ai 35.350 euro, ma il dato varia in modo significativo a seconda di settore, età, genere, con differenze marcate tra uomini e donne e tra settori come università e enti locali.

Le cause dell'invecchiamento nella PA: blocco del turnover, concorsi e ricambio generazionale

L’attuale invecchiamento del personale nella pubblica amministrazione è il risultato di scelte e vincoli strutturali durati decenni. Il blocco del turnover, disposto in fasi alterne dal 2011 in poi, ha limitato fortemente le nuove assunzioni, causando un naturale innalzamento dell’età media tra i lavoratori. Le procedure concorsuali, spesso percepite come complesse o lente, hanno faticato a compensare il flusso in uscita, mentre l’attrattività generale dei posti pubblici, soprattutto nei settori meno retribuiti, si è ridotta fra i giovani in cerca di carriera.

Solo negli ultimi due anni sono state bandite circa 439.000 nuove assunzioni, a fronte di un processo di rinnovamento che rimane tuttavia ancora limitato rispetto alle reali necessità. Il sistema pubblico, per molto tempo, non ha favorito il passaggio di competenze tra vecchie e nuove generazioni, né la valorizzazione dell’esperienza all’interno di un disegno di crescita condiviso. Tali elementi hanno contribuito a generare una situazione di squilibrio demografico che, oggi, impone un ripensamento profondo delle politiche di gestione del personale.

Scenari futuri: rischio inefficienza o opportunità di modernizzazione?

Davanti all’imminente ondata di pensionamenti tra i dipendenti pubblici, si aprono due scenari contrapposti che potrebbero ridefinire il volto della pubblica amministrazione italiana. Da una parte, si paventa il rischio di inefficienza, qualora il vuoto lasciato dagli uscenti non venisse colmato da un numero sufficiente di nuove assunzioni e competenze aggiornate.

Questo scenario porterebbe a carichi di lavoro insostenibili e a un rallentamento operativo. D'altra parte, la situazione offre anche una grande opportunità di cambiamento strutturale, grazie all’ingresso di giovani altamente qualificati, portatori di nuove competenze e visioni moderne.

L'opportunità di una PA più moderna: assunzioni, competenze e nuove generazioni

Gli effetti positivi di un massiccio ricambio generazionale nella pubblica amministrazione possono essere molteplici. La possibilità di inserire una nuova generazione di dipendenti implica:

  • arrivo di competenze digitali e nuove metodologie di lavoro;
  • apertura verso la trasformazione digitale, l’automazione e la semplificazione dei processi;
  • aumento della capacità di rispondere alle esigenze dei cittadini in tempi rapidi;
  • diminuzione dell’età media del personale con potenziali ricadute positive in termini di flessibilità e creatività;
  • promozione di diversità e inclusione anche nei ruoli apicali, storicamente meno accessibili per le nuove generazioni.
Perché tale scenario si realizzi, tuttavia, è indispensabile che la macchina dei concorsi pubblici sappia diventare più veloce, trasparente e accessibile, e che vengano investite risorse adeguate nell’attrarre profili ad alto valore aggiunto in tutti i comparti, comprese sanità ed enti locali.

Il rischio di una PA meno efficiente: meno assunzioni e conseguenze operative

L’altra faccia della medaglia è rappresentata dal possibile scenario in cui il ritmo delle assunzioni non riesca a eguagliare il flusso dei pensionamenti o le nuove leve non siano dotate delle competenze richieste. In questa ipotesi, la pubblica amministrazione potrebbe trovarsi a dover:

  • fronteggiare una carenza strutturale di personale nei settori chiave;
  • soffrire un rallentamento nei tempi di risposta e nell’erogazione dei servizi essenziali a cittadini e imprese;
  • gestire, soprattutto a livello locale, l’accentuarsi di squilibri territoriali e una maggiore difficoltà nel garantire uniformità ed efficienza;
  • perdere esperienza e conoscenze tecniche sedimentate negli anni, non compensate adeguatamente dal passaggio generazionale;
  • indebolire l’attrattività del posto pubblico per le nuove generazioni, in particolare nei settori meno retribuiti.
Risulta evidente che una gestione non strategica della fase di transizione rischia di aggravare i ritardi infrastrutturali e organizzativi già esistenti, con effetti negativi sulla competitività nazionale.

Come dovranno cambiare i concorsi pubblici per rispondere alla sfida

La necessità di coprire la carenza di personale e attrarre nuovi profili impone un ripensamento delle modalità con cui vengono banditi e gestiti i concorsi pubblici. Occorre puntare su:

  • digitalizzazione delle procedure di selezione per ridurre i tempi di attesa e aumentare la trasparenza;
  • sviluppo di test e prove che valorizzino le competenze realmente utili, come conoscenza digitale, problem solving, gestione dell’innovazione;
  • maggiore attenzione alle soft skill e alla capacità di adattamento al cambiamento;
  • meccanismi di formazione e accompagnamento per favorire l’integrazione tra nuove e vecchie generazioni;
  • azioni mirate a rendere i concorsi attrattivi anche per i giovani ad alto potenziale, con garanzia di percorsi di crescita e sviluppo professionale;
  • flessibilità e agilità nei requisiti d’accesso per facilitare la mobilità interna e il reclutamento mirato in ambiti carenti.

 



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