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Se ho uno stipendio tra 1400-2500 euro conviene rimandare la pensione e rimanere a lavorare? I guadagni e i limiti

di Marianna Quatraro pubblicato il
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Continuare a guadagnare per ottenere una pensione piů alta anche una volta raggiunti i requisiti per l’uscita: i chiarimenti e le spiegazioni

Se prendo uno stipendio tra i 1400-2500 conviene rimandare la pensione e rimanere a lavorare? L’importo della pensione finale dipende da diversi fattori e variabili che cambiano a seconda del soggetto che va in pensione e della modalità di calcolo dell’assegno stesso, considerando che vigono ancora i sistemi retributivo, contributivo e misto. 

Oggi, i dati relativi agli assegni mensili dei pensionati non sono certo confortanti per chi si accinge ad andare in pensione (poi tutto dipende dai singoli casi), motivo per il quale molti scelgono di rimandare la pensione e continuare a lavorare, per riuscire a ottenere qualcosina in più. 

  • Conviene rimanere a lavoro se si vuol prendere la pensione più alta
  • C’è anche il bonus Maroni vantaggioso


Conviene rimanere a lavoro se si vuol prendere la pensione più alta

Chi prende uno stipendio tra 1.400 e 2.500 euro al mese può continuare a lavorare, rimandando la pensione, senza alcun problema anche una volta maturati i requisiti per l’uscita, qualsiasi forma essa sia. 

Chi raggiunge, per esempio, i requisiti per uno dei sistemi che permettono di lasciare prima il lavoro, da quota 103, ad ape sociale e opzione donna, restando a lavoro continuano a maturare i contributivi lavorativi dovuti che si accumulano al montante contributivo già creato, contribuendo ad aumentarlo ai fini del calcolo della pensione finale, e non incorrono nei tagli degli assegni che ogni sistema di uscita anticipato prevede. 

Restare a lavoro oltre i 67 anni di età della pensione di vecchiaia, però, anche solo per aumentare il proprio assegno finale, è possibile ma entro specifici limiti.

Precisiamo che non sono previsti limiti reddituali alla possibilità di continuare a lavorare rimandando la pensione, ma più che altro anagrafici. 

I dipendenti privati che raggiungono i 67 anni d’età possono essere collocati a riposo direttamente dal datore di lavoro ma possono anche proseguire il rapporto in presenza di un accordo tra datore e dipendente.

In alcuni casi, è il relativo CCNL di riferimento che prevede la possibilità per il dipendente di proseguire o cessare il rapporto di lavoro al compimento di una determinata età. 

Lasciare il lavoro più tardi e continuare a lavorare permette di avere una pensione più alta al momento della cessazione definitiva del rapporto lavorativo per effetto dei coefficienti di trasformazione. Questi ultimi sono, infatti, tanto più alti quanto più tardi si va in pensione.

I coefficienti sono fissati fino al compimento dei 70 anni d’età, per cui chi lavora fino ai 71 anni potrà ottenere un importo più alto di pensione. 

Per chi prende uno stipendio di 2.200 euro al mese, che potrebbe avere una pensione di circa 1.800 euro, restare a lavoro ritardando l’uscita potrebbe aumentare l’importo della pensione finale di circa 100 euro al mese o anche 150, continuando a versare buoni contributi. 

I lavoratori pubblici possono andare in pensione più tardi, oltre i 67 anni, e fino a 70 anni. Ma si tratta di un aumento che non è automatico.

Ogni dipendente che vuole prolungare il rapporto di lavoro deve esprimere la scelta di rimanere oltre l’età pensionabile ordinaria.

La certezza è che andando in pensione più tardi, si può aumentare comunque il trattamento finale, sia per un maggiore montante contributivo che si riesce ad accumulare e sia per il coefficiente di trasformazione più alto. 

C’è anche il bonus Maroni vantaggioso

Pur prendendo uno stipendio tra 1.400 e 2.500 euro che, se ben calcolato e percepito in maniera continuativa, permetterebbe di avere una buona pensione, si può decidere di rimanere a lavoro e tardare l’uscita anche per la convenienza del bonus Maroni, riconosciuto anche quest’anno.

L’incentivo, pari in genere al 9,19%, spetta a chi decide di rimanere a lavoro, pur avendo maturato i requisiti per andare in pensione, sia con la quota 103, a 62 anni di età e con 41 anni di contributi, sia con la pensione anticipata ordinaria, cioè con 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e con 41 anni e 10 mesi di contributi per le donne, a prescindere dal requisito anagrafico.

L’aumento di circa il 10% della retribuzione spetta, dunque, ai lavoratori dipendenti che decidono di non andare in pensione e di continuare a lavorare e le somme erogate al lavoratore sono esenti da imposizione fiscale oltre che contributiva.

Il vantaggio economico che ne deriva è importante. Prendendo, per esempio, il caso di un lavoratore con uno stipendio lordo mensile di 2.000 euro potrebbe ottenere circa 184 euro netti in più in busta paga. 

Il bonus viene riconosciuto dal primo giorno del mese successivo alla presentazione della domanda e, comunque, non prima dell’apertura della finestra mobile e spetta fino al compimento dell’età pensionabile di 67 anni.

Anche chi usufruisce del bonus Maroni, continuando a lavorare, può guadagnare di più ma non sul valore della pensione finale.

La misura trasferisce, in sostanza, il pagamento dei contributi direttamente in busta paga dei lavoratori, perché sviene riconosciuta come sgravio contributivo.

D’altro canto, ad aumenti dello stipendio, corrispondono minori contributi pensionistici, da cui derivano trattamenti pensionistici più bassi in futuro. Ciò significa che con il bonus Maroni si prende di più sullo stipendio, anche compreso tra i 1.400 e i 2.500 euro, ma non sull'assegno pensionistico.
 

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