Il possibile taglio del canone Rai per il 2026 da 90 a 70 euro proposto dalla Lega solleva interrogativi politici, economici e sulle ripercussioni future. Analisi sulle motivazioni, dibattiti parlamentari e scenari legati alla Manovra.
Il dibattito attorno al pagamento del servizio radiotelevisivo pubblico ha vissuto negli ultimi anni numerosi colpi di scena. La recente proposta di riduzione dell’importo prevista per il 2026, avanzata in Senato, si inserisce in un contesto politico complesso. Le discussioni sulla fiscalità in Italia si intrecciano spesso con questioni di opportunità politica e consenso elettorale, e il canone Rai non fa eccezione.
La presenza di forze politiche con visioni differenti sul futuro del servizio pubblico radiotelevisivo rende la discussione particolarmente accesa. L’argomento, già oggetto di forti dibattiti negli anni precedenti, aveva visto momentanee retromarce — come accaduto con la mancata riduzione per il 2025 — sottolineando quanto le decisioni in materia siano influenzate dall’equilibrio fra esigenze di bilancio e pressione dell’opinione pubblica.
Nell’attuale scenario, la questione del canone Rai rappresenta un banco di prova per la tenuta politica delle forze di maggioranza. L’attenzione si focalizza ora sulle implicazioni che un taglio, anche consistente, potrebbe avere tanto sulla sostenibilità finanziaria del servizio pubblico quanto sulla capacità di mantenere una coesione fra i partiti che governano il Paese.
La formulazione dell’emendamento avanzato dai rappresentanti della Lega al Senato prevede una riduzione del canone annuo per il servizio pubblico televisivo dagli attuali 90 euro a 70 euro per l’intero 2026. L’inserimento della misura all’interno di una proposta più ampia sulle tv locali ha la finalità di rendere la modifica difficilmente isolabile e più facilmente difendibile nell’ambito delle trattative parlamentari.
Il lavoro di limatura della proposta, portato avanti da giorni in collaborazione con il gruppo dirigente e i vertici del partito, è giunto al termine con un atto che mira a rendere strutturale il taglio per il 2026. I colloqui tra i senatori della Lega, con il coinvolgimento diretto di Massimiliano Romeo e lo stesso Salvini, si sono concentrati sulla sostenibilità e sulla presentabilità della misura al tavolo della maggioranza.
Secondo quanto anticipato, il costo per le casse dello Stato si attesta sui 430 milioni di euro. La scelta della tempistica — a ridosso delle elezioni regionali — sottolinea la volontà di presentare al proprio elettorato un’iniziativa popolare, in grado di rafforzare il consenso.
Gli obiettivi dichiarati dalla Lega includono:
L’annuncio della riduzione dell’importo richiesto agli utenti ha immediatamente scatenato un vivace confronto sia all’interno della maggioranza sia tra le forze di opposizione. Forza Italia si è mostrata fin da subito contraria, riaffermando la necessità di destinare le eventuali risorse disponibili in settori percepiti come prioritari — sanità e pensioni minime in particolare. Le tensioni sono legate anche alla storica rivalità tra Rai e Mediaset, con quest’ultima penalizzata da una possibile maggiore concorrenza pubblicitaria da parte del servizio pubblico.
Nel recente passato, proprio Forza Italia aveva contribuito a determinare il fallimento di una precedente proposta di taglio, alimentando la contrapposizione con la Lega e votando insieme alle opposizioni.
All’interno di Fratelli d’Italia, la posizione appare più sfumata: il partito della premier Meloni sembra adottare un profilo da mediatore, consapevole della necessità di salvaguardare tanto gli equilibri finanziari della Manovra quanto quelli tra le anime della coalizione.
Sul fronte delle opposizioni parlamentari, la misura è stata bollata come mossa propagandistica, dettata dalla campagna elettorale e dal rischio di sottrarre risorse strategiche a un servizio pubblico che — secondo le minoranze — necessiterebbe invece di investimenti per la digitalizzazione, l’innovazione tecnologica e la pluralità dell’informazione.
Le discussioni in Aula si sono quindi intrecciate con quelle di carattere metodologico, sollevando dubbi sull’adeguatezza delle coperture indicate e sulla reale volontà di promuovere una riforma sostenibile. La decisione, inoltre, si inserisce in un momento segnato da frequenti attriti tra i partner di governo, con la gestione della questione fiscale che diventa, ancora una volta, una cartina tornasole dei rapporti di forza nell’esecutivo.
Dal punto di vista finanziario, il taglio proposto presenta una serie di questioni irrisolte legate sia alle coperture necessarie sia al futuro assetto economico della Rai. L’onere stimato, pari a 430 milioni di euro per il 2026, si aggiunge ai carichi già previsti per la Legge di Bilancio e impone la ricerca di soluzioni credibili.
All’interno della maggioranza, la posizione della Lega si distingue per la preferenza ad adottare misure sulle banche, come un ulteriore aumento dell’Irap sugli istituti creditizi e una maggiore tassazione delle rivalutazioni dell’oro, con l’obiettivo di rastrellare fino a due miliardi di euro di nuove entrate. Queste strategie vengono tuttavia contestate da altri partiti di governo, che pongono interrogativi sulla reale sostenibilità di simili iniziative nel medio periodo.
Per il servizio pubblico, la riduzione delle risorse dirette da canone comporta, secondo diversi analisti, l’esigenza di aumentare la raccolta pubblicitaria e di rivedere i modelli di business. Tale spostamento potrebbe generare:
La manovra finanziaria per il 2026 si presenta come una delle più travagliate degli ultimi anni, segnata dalla presenza di oltre 5.700 emendamenti. La proposta di riduzione del canone Rai costituisce solo una delle molte modifiche richieste, tutte tese a ridefinire equilibri fiscali nazionali rafforzando il sostegno alle proprie «bandierine» politiche.
Tra gli altri emendamenti di rilievo figurano:
Tra i profondi interrogativi sollevati da questa iniziativa spiccano numerose critiche tecniche e politiche. Voci autorevoli hanno espresso perplessità sulla reale capacità della misura di giovare a lungo termine al servizio pubblico, sottolineando il rischio di sottovalutare gli effetti indiretti. Fra i temi sollevati: