La manovra finanziaria 2026 trasforma la tassazione dei dividendi con nuove aliquote e importanti novità fiscali. Analisi di cambiamenti, impatti su imprese e banche, reazioni e scenari futuri del panorama normativo.
Dal 2026, la fiscalità aziendale inerente ai dividendi subirà una revisione significativa a seguito delle direttive previste nella Manovra Finanziaria 2026. Il nuovo quadro normativo punta a ridefinire la base imponibile dei dividendi distribuiti tra società, intervenendo in modo marcato sulle aliquote applicate e modificando la soglia di partecipazione rilevante per accedere al regime agevolato. La spinta legislativa mira a rafforzare la coerenza del sistema tributario italiano, rispondendo a esigenze di maggior gettito e allineamento con alcune delle recenti direttive dell’Unione Europea.
Il nuovo assetto regolatorio interviene modificando gli articoli 59 e 89 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR), sancendo una netta differenziazione nella tassazione dei dividendi tra chi possiede partecipazioni qualificate e coloro che detengono quote inferiori alla soglia individuata. Oggi, la disciplina fiscale prevede che solo il 5% dei dividendi incassati dalle società sia soggetto insieme all’IRES, portando il prelievo effettivo all’1,2%. La legge di bilancio 2026 mantiene tale favore fiscale esclusivamente per le società con una partecipazione superiore al 10% del capitale nella partecipata, sia in via diretta sia tramite controllate. Per tutte le società che detengono una quota inferiore al 10%, l’agevolazione decade e scatta l’imposta ordinaria: il 100% del dividendo diventa imponibile ai fini IRES, con l’applicazione dell’aliquota ordinaria del 24%. Saranno quindi pienamente imponibili anche le riserve e altri fondi distribuiti a partire dal 1° gennaio 2026, data di efficacia delle nuove regole. Dal punto di vista operativo, tale modifica coinvolgerà tanto le imprese italiane quanto i soggetti IRES e IRPEF in regime d’impresa coinvolti nelle distribuzioni utili.
La modifica più incisiva riguarda il passaggio da un’imposizione ridotta (pari all’1,2%) a un’aliquota piena del 24% per i percettori di dividendi con partecipazioni inferiori alla soglia del 10%. Ecco una tabella che riassume il confronto tra la situazione attuale e quella prevista dalla manovra:
Tipologia di partecipazione | Aliquota vigente fino al 2025 | Aliquota dal 2026 |
Quota superiore al 10% | 1,2% (24% applicato al 5% del dividendo) | 1,2% (invariata) |
Quota inferiore al 10% | 1,2% | 24% |
Per fare un esempio pratico: un’impresa con una quota del 8% in una partecipata che percepisce 100.000 euro di dividendi vedrà il prelievo salire da 1.200 euro (1,2%) a 24.000 euro (24%), determinando un aggravio di 22.800 euro. Al contrario, per chi detiene il 15% non muta l’onere fiscale.
Lo scenario che si delinea tende a ridisegnare gli equilibri interni al tessuto produttivo nazionale e potrebbe incidere in modo significativo sulla competitività delle imprese italiane nel contesto europeo. L’abolizione del regime agevolato per le quote minori rispetto al 10% solleva diverse criticità:
L’Italia rischia di vedere ridursi la propria competitività a livello internazionale, soprattutto nella capacità di attirare investimenti produttivi e di mantenere stabili i livelli occupazionali e il dinamismo del tessuto imprenditoriale. L’introduzione di un doppio regime alimenta inoltre la complessità amministrativa e fiscale a carico delle imprese, aumentando gli oneri di compliance.
L’annuncio delle nuove regole ha innescato un acceso dibattito politico e numerose critiche da parte di rappresentanti istituzionali e di categoria. Secondo varie componenti del mondo imprenditoriale e parlamentare, l’innalzamento della tassazione sui dividendi per quote inferiori al 10% è destinato a comprimere la competitività del sistema produttivo.
Alcune delle critiche e considerazione degli ultimi giorni: