Negli ultimi anni, il contesto fiscale italiano ha assistito a un aumento significativo del carico tributario, confermato dai dati più recenti diffusi dagli istituti di statistica e dagli osservatori economici. Da quando l’attuale esecutivo è entrato in carica, la pressione fiscale ha subito una crescita notevole, suscitando un acceso dibattito tra cittadini, economisti ed esperti del settore. In particolare, si è registrato un aumento di 1,3 punti percentuali nel giro di un anno, con effetti tangibili su famiglie, lavoratori e imprese.
La pressione fiscale in Italia: dati storici e confronto europeo
L’analisi degli ultimi anni rivela come la pressione fiscale italiana sia variata a seconda delle compagini politiche al governo e delle condizioni economiche globali. Dopo diverse oscillazioni, si è assistito a una stabile crescita, con una pressione che nel biennio 2023-2024 ha toccato il 42,6%-42,8% del PIL, uno dei valori più elevati dal 2012 a oggi. Questa percentuale rappresenta una delle quote più alte tra i Paesi dell’Unione Europea.
In una prospettiva comparata, secondo i dati Eurostat pubblicati il 31 ottobre scorso, l’Italia si posiziona tra i Paesi europei con la più elevata pressione fiscale, avvicinandosi a nazioni come la Francia, che si attesta al 46%, e superando ampiamente la Spagna, ferma sotto il 37%.
Entrando più nel dettaglio, l’Italia è al sesto posto in Europa, quarta nell’Eurozona, superando la Svezia. E il trend, secondo le previsioni ufficiali, è in ulteriore aumento nel 2025.
Il grafico seguente mette in evidenza l’andamento:
| Anno |
Italia |
Francia |
Spagna |
| 2022 |
41,4% |
45,7% |
36,7% |
| 2024 |
42,8% |
46,2% |
36,5% |
Le differenze tra i principali membri UE sono il risultato di diverse strategie fiscali e modelli di welfare. La crescita del prelievo in Italia, tuttavia, incide particolarmente sulle categorie produttive e sulle classi medie. Questi dati mostrano come la crescita della pressione fiscale italiana sia un’anomalia rispetto alle aspettative diffuse, soprattutto considerando le promesse di riduzione delle imposte fatte dall’attuale maggioranza politica.
Gli interventi fiscali del Governo Meloni: tra manovre e realtà
L’attività legislativa degli ultimi anni ha introdotto numerosi cambiamenti, presentando riforme annunciate con l’obiettivo di alleggerire il carico fiscale su lavoratori e imprese. Le principali azioni varate dal governo si possono così riassumere:
- Taglio del cuneo fiscale: trasformato da misura temporanea a stabile, è stato pensato per aumentare il netto a disposizione dei lavoratori dipendenti. Tuttavia, la sua applicazione ha portato spesso ad una riduzione degli sconti precedenti, vanificando l’effetto su molte categorie di lavoratori, in particolare sui redditi più bassi.
- Riduzione degli scaglioni IRPEF: il passaggio dai precedenti quattro scaglioni agli attuali tre avrebbe dovuto portare un beneficio diffuso. Nei fatti, il vantaggio si è rivelato limitato in quanto il contestuale taglio delle detrazioni e la mancata rivalutazione delle soglie hanno spesso prodotto aumenti d’imposta effettivi, soprattutto per chi si trova nelle fasce reddituali medio-basse.
- Nuove imposte e rimodulazioni: sono state introdotte misure come l’aumento di accise sui carburanti e tributi aggiuntivi su settori bancari e assicurativi, come la tassa speciale destinata a raccogliere ulteriori entrate pubbliche. Questi interventi hanno comportato nuove risorse per lo Stato, ma anche un aggravio per chi subisce indirettamente i rincari.
Il ruolo del fiscal drag e dell’inflazione nell’aumento delle tasse
A determinare, però, la crescita della pressione fiscale è
il cosiddetto fiscal drag (drenaggio fiscale). Questo fenomeno si verifica in un contesto di sistema tributario progressivo e inflazione sostenuta: all’aumentare dei prezzi, le retribuzioni nominali vengono aggiustate, ma senza una parallela revisione degli scaglioni fiscali e delle soglie relative a bonus e detrazioni. Di conseguenza, molti contribuenti finiscono per incorrere in aliquote più elevate senza un reale incremento del potere d’acquisto.
Da gennaio 2021 a gennaio 2025, il livello dei prezzi ha registrato una crescita complessiva del 16%, contro un aumento delle retribuzioni pari a circa l’8%. Ne è derivano in particolare che:
- Il drenaggio fiscale ha generato, solo nel 2024, circa 17 miliardi di euro in più di entrate per l’Erario rispetto all’anno precedente.
- Secondo l’Ufficio parlamentare di bilancio, le misure su IRPEF e cuneo fiscale non hanno compensato questo effetto, aggravando la posizione di lavoratori dipendenti e pensionati.
Tagli, nuove imposte e modifiche alle agevolazioni: gli effetti sulle famiglie e le imprese
Le scelte operate negli ultimi anni hanno avuto ripercussioni dirette sui bilanci di migliaia di famiglie italiane e sulle attività produttive, come:
- Aumento dell’IVA sui beni essenziali: l’aliquota è stata ritoccata verso l’alto su prodotti di largo consumo come pannolini, seggiolini e latte in polvere, a fronte di riduzioni su beni considerati di nicchia. Questo ha inciso in modo particolare sulle famiglie numerose e sui nuclei con bambini.
- Taglio delle detrazioni fiscali: numerosi contribuenti si sono trovati con un vantaggio fiscale minore rispetto al passato, specialmente nei casi di lavoratori dipendenti e pensionati.
- Accise e tasse settoriali: incremento del carico sui carburanti, sui servizi bancari e assicurativi, trasferito spesso ai consumatori finali tramite rialzi dei prezzi.
La manovra finanziaria 2026 e le prospettive per la pressione fiscale
Secondo il recente Documento di Finanza Pubblica e gli ultimi trend emersi dai dati ufficiali,
la pressione fiscale resterà ai livelli attuali o potrebbe salire ulteriormente nei prossimi anni. La nota di aggiornamento della manovra finanziaria 2026 prevede una pressione al 42,8% anche per l’anno successivo, segnando quindi una stabilizzazione verso l’alto del carico tributario complessivo. Nel 2027 si prevede addirittura un lieve incremento al 42,9%, con un’eventuale riduzione nel 2028, ma sempre su valori molto elevati.
Le prospettive di ulteriore crescita derivano da diversi fattori:
- L’impegno, già assunto, per l’aumento della spesa militare al 2% del PIL imposto dalle nuove strategie NATO.
- La necessità di reperire risorse aggiuntive per mantenere la sostenibilità del debito pubblico e adempiere agli impegni previsti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).
- Una copertura delle minori entrate determinata anche da possibili tagli alla spesa sociale e nuovi provvedimenti sul fronte delle entrate.
Di conseguenza, secondo le più autorevoli analisi economiche, il prelievo fiscale in Italia continua ad attestarsi tra i più pesanti dell’area euro, senza che vi sia una prospettiva concreta di significativa riduzione nel medio termine.
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