Si può lavorare per legge fino a 70 anni ma non è scontato poterlo farlo: spetta all'azienda o al datore di lavoro decidere. Cosa prevede la normativa vigente
Negli ultimi anni, la questione della permanenza in servizio oltre l’età tipica per accedere alla pensione si è posta con crescente rilievo, sia per ragioni demografiche sia per esigenze di gestione della spesa pubblica.
Il progressivo aumento della speranza di vita ha portato le istituzioni italiane ed europee a ripensare i modelli pensionistici, stimolando una maggiore flessibilità nel termine dell’attività lavorativa. In Italia, recentemente, si è consolidata la possibilità di continuare a lavorare anche oltre i 67 anni d’età nei settori pubblico e privato, ma questa opzione non costituisce un diritto automatico.
In Italia, il limite ordinario per la pensione di vecchiaia è fissato a 67 anni, risultante dalla normativa vigente aggiornata alle stime di longevità. Per il pensionamento ordinario sono necessari, oltre all’età, almeno 20 anni di versamenti contributivi.
Nel settore privato, raggiunta questa soglia, il datore di lavoro può interrompere il rapporto tramite licenziamento per limiti d’età; tuttavia non vige l’obbligo di cessazione automatica, ma è possibile raggiungere specifici accordi tra le parti, lavoratori e aziende o datori di lavoro, per proseguire la collaborazione.
Nel settore pubblico, se, in generale, l'età pensionabile è la stessa fissata per il privato (cioè a 67 anni), esistono categorie (ad esempio magistrati, professori universitari e dirigenti medici) che possono continuare fino a età superiori per esigenze funzionali.
A partire dal 2025, la Manovra Finanziaria ha uniformato il limite ordinario anche per i pubblici dipendenti, abolendo il collocamento d’ufficio a 65 anni e stabilendo la soglia dei 67 anni. Eventuali proroghe fino a 70 anni sono subordinate a condizioni specifiche, tra cui la volontarietà del lavoratore e la valutazione dell’ente circa la necessità di trattenere personale esperto. Di seguito le regole vigenti per comparti:
Nel pubblico impiego analoghe considerazioni sono affidate alla valutazione dell’amministrazione, soprattutto nei comparti dove la trasmissione delle competenze e la continuità del servizio sono prioritarie. Dunque, la prosecuzione non è automatica: è sempre necessario l’accordo concreto con il datore di lavoro.
Proseguire la carriera fino a un massimo di 70 anni richiede un’intesa formale tra le parti. Tale accordo deve essere espressamente scritto e sottoscritto sia dal lavoratore che dal datore di lavoro o dall’amministrazione pubblica. Il contenuto tipico di questo atto include:
L'allungamento dell'età lavorativa fino a 70 anni solleva diverse questioni per i datori di lavoro, i lavoratori stessi e il sistema previdenziale. I principali benefici includono:
Benefici | Criticità |
Mentoring, trasmissione di competenze, maggiore flessibilità nella gestione degli organici | Possibile frenata al ricambio generazionale, rischi di demotivazione e discriminazione per età (“ageismo”) |
Risparmio sulla spesa previdenziale | Rischio di carriere discontinue penalizzanti, soprattutto per donne e soggetti con interruzioni lavorative |