Le ultimissime notizie riguardanti la cancellazione dell'opzione donna per il 2026 nel testo della manovra finanziaria approvato venerdì dal Cdm. Cosa può succedere ora e gli scenari possibili
La recente approvazione della Manovra Finanziaria 2026 ha innescato un acceso dibattito sul futuro della previdenza, in particolare riguardo all’eliminazione di specifiche misure di flessibilità pensionistica rivolte alle donne. Tra queste, la cancellazione per il 2026 della cosiddetta "Opzione Donna" ha catalizzato l’attenzione di esperti e cittadine, poiché si trattava di uno degli ultimi strumenti di accesso anticipato alla pensione pensato esplicitamente per la platea femminile.
Nel contesto della nuova legge di bilancio, il Governo italiano ha motivato tale eliminazione citando esigenze di sostenibilità finanziaria per l’intero sistema previdenziale, evidenziando anche la volontà di razionalizzare le deroghe ai requisiti pensionistici standard. La cancellazione si inserisce in un quadro più ampio di revisione delle misure temporanee introdotte nelle precedenti manovre, con l’intento di uniformare i criteri di accesso in uscita dal lavoro.
La notizia ha suscitato reazioni eterogenee non solo nelle lavoratrici, ma anche tra patronati e sindacati, che sottolineano come questa scelta rischi di penalizzare ulteriormente chi ha già pagato un costo alto in termini di carriere discontinue e retribuzioni più basse.
Alla luce di queste considerazioni, la discussione sull’eventuale ripristino di strumenti dedicati alla flessibilità pensionistica femminile resta aperta e centrale nel panorama politico-sociale attuale.
L’Opzione Donna rappresentava una delle vie principali per l’uscita anticipata dal lavoro destinata alle lavoratrici del settore pubblico e privato, introdotta in modo sperimentale e successivamente prorogata anno dopo anno.
Inizialmente la misura consentiva il pensionamento con almeno 35 anni di contributi e 58 anni di età per le dipendenti o 59 per le autonome, a fronte dell’accettazione del ricalcolo esclusivamente contributivo dell’assegno pensionistico.
Ciò comportava un taglio significativo dell’importo della pensione, spesso superiore a 20-25%. Negli ultimi anni, il perimetro delle beneficiarie è stato ristretto progressivamente: dai requisiti generali si è passati a paletti più stringenti legati a situazioni personali e familiari, come l’assistenza a familiari con disabilità, la presenza di figli o l’impiego in aziende in crisi.
La ratio iniziale pensata per favorire la conciliazione lavorativa delle donne si è così, negli anni, progressivamente snaturata, diventando una soluzione residuale proposta solo nei casi di necessità o carichi gravosi e perdendo la portata sociale che aveva nei suoi primi anni di applicazione.
L’esclusione dello strumento di flessibilità dal testo approvato per la legge di bilancio 2026 trova le proprie radici nella necessità dichiarata dal Governo di salvaguardare l’equilibrio dei conti pubblici e ridurre le forme pensionistiche anticipate che negli anni si erano stratificate.
Secondo diverse analisi tecniche e dichiarazioni ufficiali, tra cui quelle del Ministero dell’Economia, la misura era ritenuta poco efficace sia per l’ampio ricorso a requisiti stringenti che per il limitato impatto sulla platea delle lavoratrici.
Tuttavia, per molte donne la cancellazione di "Opzione Donnaha causato preoccupazioni concrete: la misura rappresentava un’opportunità alternativa rispetto alle regole generali della legge Fornero, spesso giudicate troppo rigide considerando le interruzioni di carriera e le difficoltà lavorative che caratterizzano la popolazione femminile.
Le principali conseguenze della soppressione ricadono sulle fasce più vulnerabili: caregivers, donne con lavori precari o concentrazione di periodi parziali.
La scelta ha inoltre sollevato interrogativi sulla reale volontà istituzionale di riconoscere il valore del lavoro femminile e ha posto l’accento sulla necessità di individuare nuove forme di flessibilità strutturali nella previdenza, per evitare che una percentuale rilevante di lavoratrici si trovi costretta a rimanere attiva ben oltre i sessant’anni senza tutele specifiche.
Nonostante la cancellazione, il percorso parlamentare di approvazione della legge di bilancio potrebbe ancora lasciare spazio a modifiche o emendamenti. Restano infatti sul tavolo alcune proposte di rafforzamento e reintroduzione del pensionamento anticipato femminile.
Tra le ipotesi più accreditate figurano il ritorno ai requisiti originari della misura, ossia la possibilità per le lavoratrici dipendenti di lasciare il lavoro a 58 anni e per le autonome a 59 anni, sempre con il ricalcolo contributivo, ma con la possibile estensione a nuove categorie e condizioni lavorative.
Le possibili strade discusse riguardano:
La partita non appare affatto chiusa: il potenziamento della misura rimane una possibilità concreta nelle prossime fasi di esame parlamentare. Il confronto la rende una delle questioni centrali nell’agenda sociale e politica delle prossime settimane.