Negli ultimi anni è cresciuta l’attenzione sui casi in cui l’INPS richiede la restituzione di somme già erogate a titolo di prestazioni pensionistiche. Una questione che interessa moltissimi cittadini, specialmente dopo la recente sentenza n. 27572/2025 emessa dalla Corte di Cassazione, Sezione Lavoro. Le nuove regole stabilite chiariscono non solo quando può scattare la richiesta di rimborso, ma ribadiscono anche i doveri informativi dei pensionati nei confronti dell’ente previdenziale.
Quando e perché l’INPS può richiedere la restituzione delle somme pensionistiche
L’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale può richiedere la restituzione di somme pensionistiche indebitamente percepite in vari casi, tra cui:
- Errori nei calcoli effettuati dall’ente, con somme versate superiori al dovuto;
- Accrediti per pagamenti non spettanti al beneficiario;
- Modifiche ai requisiti richiesti per l’accesso o il mantenimento della prestazione (legati a reddito, condizioni sanitarie o socio-economiche, ecc.).
Si parla di
indebito pensionistico ogniqualvolta il pensionato riceva importi cui non aveva diritto, a causa di errori materiali, dichiarazioni incomplete o situazioni sopravvenute che incidano sul trattamento.
Situazioni frequenti che possono originare la richiesta includono il superamento dei limiti reddituali, la perdita dei requisiti sanitari, o un lavoro in nero. Tuttavia, ogni caso va valutato considerando la normativa vigente, la buona o mala fede del percettore e gli obblighi informativi violati.
Gli obblighi di comunicazione del pensionato verso l’INPS
I titolari di pensione sono tenuti a comunicare tempestivamente all’ente previdenziale ogni variazione che possa influenzare il diritto o l’importo della prestazione pensionistica. Tra gli obblighi specifici figurano:
- Segnalazione di attività lavorative svolte durante il percepimento della pensione (inclusi lavori irregolari);
- Comunicazione di mutamenti reddituali provenienti da qualsiasi fonte (lavoro autonomo, dipendente o altre prestazioni sociali);
- Notifica di modifiche alle condizioni personali o familiari che incidano sul diritto al trattamento.
La sentenza n. 27572/2025 della Cassazione ha ribadito con forza che la mancata comunicazione, anche per motivi soggettivi (timore di ritorsioni o disagio) non esonera il pensionato dall’obbligo legale di trasparenza. Omettere informazioni rilevanti, come l’instaurazione di un rapporto di lavoro (anche in nero), può giustificare la ripetibilità delle somme indebitamente erogate e il recupero dei contributi figurativi accreditati su basi non veritiere.
La normativa impone al beneficiario di informare l’INPS sui fatti incidenti sul proprio trattamento, pena la retrocessione degli importi versati senza titolo.
La buona fede, il dolo e le condizioni che escludono il recupero delle somme
La distinzione tra buona fede e dolo costituisce il criterio principale per stabilire se l’indebito pensionistico debba essere restituito:
- Buona fede: il pensionato riceve somme senza sapere, e senza poter sapere con normale diligenza, che non gli spettavano. Tipicamente si tratta di errori prodotti dall’INPS, senza responsabilità del destinatario. In questi casi, non sussiste obbligo di restituzione.
- Dolo o grave negligenza: si verifica quando il beneficiario fornisce intenzionalmente dichiarazioni false, occulta informationi fondamentali, omette la segnalazione di eventi rilevanti o agisce con consapevolezza della non spettanza delle somme. Ad esempio, nascondere di lavorare mentre si percepisce la pensione integra dolo, comportando l'obbligo di restituzione totale degli importi indebitamente ricevuti.
La legge e la prassi amministrativa, rafforzate dai più recenti orientamenti giurisprudenziali, proteggono il legittimo affidamento esclusivamente se non c'è alcuna responsabilità concorsuale del pensionato nell’indebito. La tutela infatti non si estende a chi abbia agito volontariamente contro le disposizioni normative.
È importante segnalare che anche la decadenza dei termini e la prescrizione svolgono un ruolo nello stabilire l’esigibilità del rimborso, ma non possono essere invocati in presenza di dolo accertato. La restituzione delle somme può essere richiesta solo dalla data del provvedimento amministrativo che accerta l’assenza di requisiti, non per tutte le annualità pregresse.
Infine, il principio di “tutela dell’affidamento” sottolineato più volte dalla Cassazione garantisce il pensionato incolpevole, evitando che la rigidità delle norme provochi conseguenze sproporzionate per chi abbia confidato in atti e provvedimenti regolari dell’ente.
Prescrizione, limiti temporali e decadenza nella richiesta di rimborso dell’INPS
La disciplina del recupero delle somme percepite indebitamente individua specifici termini entro cui l’INPS può agire:
- Prescrizione quinquennale: la regola generale stabilisce che la richiesta dell’ente cade in prescrizione trascorsi 5 anni dal momento in cui ha avuto conoscenza dell’indebito.
- Decadenza biennale: per prestazioni assistenziali come assegni familiari e invalidità civile, il termine è di 2 anni dalla data di erogazione. Oltre questo limite, la richiesta dell’INPS non è più esercitabile.
- Termine decennale ordinario: solo in specifiche ipotesi, come per redditi non dichiarati o non conosciuti dall’ente, si applica l’ordinario termine di 10 anni.
Per le somme riconducibili a redditi noti, il termine decorre dal momento dell’acquisizione delle informazioni da parte dell’INPS, oppure dall’anno successivo alla dichiarazione reddituale (730 o Modello Unico). Se la richiesta supera questi limiti
l’importo non va restituito.
Nelle procedure di recupero, la normativa impone che le somme siano restituite al netto delle imposte già trattenute, tutelando il pensionato da doppie penalizzazioni. La tracciabilità e il rispetto delle procedure formali (notifica tramite PEC, raccomandata o canali ufficiali) rappresentano un ulteriore presidio di garanzia per il cittadino.
Il ruolo centrale della sentenza Cassazione n. 27572/2025: cosa cambia per i pensionati
La recente pronuncia della Suprema Corte ha segnato un punto fermo nelle controversie sulle restituzioni INPS. Il caso riguardava un trattamento di anzianità ottenuto senza dichiarare una concomitante attività lavorativa irregolare. La Cassazione, riconoscendo il valore della trasparenza, ha affermato che:
- L’omessa denuncia di fatti rilevanti (come l’attività lavorativa) è causa di restituzione delle somme;
- I contributi figurativi accreditati sulla base di dichiarazioni non veritiere vengono annullati;
- Non sono ammesse scusanti soggettive (come il timore di perdere il posto), poiché l’obbligo di trasparenza verso l’INPS è inderogabile.
L’effetto pratico della sentenza n. 27572/2025 consiste in una
più rigorosa attuazione degli obblighi di comunicazione e nell’applicazione del principio per cui il pensionato risponde di ogni omissione o imprecisione incidenti sul trattamento, anche se motivate da ragioni personali.
La decisione della Cassazione richiama i principi di tutela dell’affidamento, ma delimita in modo netto la loro applicabilità alle sole ipotesi di buona fede oggettivamente dimostrabile.
Cosa fare se si riceve una richiesta di rimborso: verifica, ricorsi e tutela dei diritti
Chi si vede recapitare una comunicazione dell’INPS che domanda la restituzione di prestazioni previdenziali deve, prima di procedere:
- Valutare la fondatezza della richiesta: analizzare la motivazione e verificare il rispetto dei termini di legge;
- Controllare la correttezza degli importi richiesti, richiedendo chiarimenti o l’accesso agli atti se necessario;
- Richiedere la rateizzazione qualora l’importo risultasse congruo ma non immediatamente sostenibile (fino a 60 rate mensili a partire dal 2025);
- Presentare ricorso nei casi di dubbi sulla legittimità o su vizi procedurali, utilizzando la sezione online dedicata sul portale INPS o con supporto legale.
Il ricorso amministrativo va inoltrato tempestivamente al comitato provinciale, seguito se necessario da quello giudiziario presso il giudice del lavoro entro 180 giorni dalla notifica. Se il pensionato non ha colpe gravi o dolo, o se sono scaduti i termini previsti dalla legge, l’obbligo di restituzione può cadere.
In caso di contenzioso, la documentazione personale (cedolini, estratti conto, corrispondenza) assume valore probatorio centrale. La consulenza di un legale esperto in materia previdenziale può facilitare la tutela dei diritti, minimizzando i rischi di azioni coattive o errori procedurali.
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