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Pensioni a 64 anni nel 2026 con nuovo sistema. Requisiti e condizioni per poter accedere

di Marianna Quatraro pubblicato il
Pensioni 64 anni 2026

Quali sono i nuovi requisiti da soddisfare per andare in pensione prima nel 2026 a 64 anni di età

L’accesso anticipato alla pensione in Italia è stato oggetto negli ultimi anni di numerosi aggiornamenti normativi e proposte di riforma. Dal 2026, potrebbe entrare in vigore un modello caratterizzato da criteri più selettivi rispetto al passato, dando la facoltà di andare in pensione prima a 64 anni.

Cosa cambia nel 2026: fine di Quota 103 e nuovo sistema contributivo puro

Il 2026 rappresenta uno spartiacque per il sistema previdenziale italiano. Con la fine della cosiddetta Quota 103 (che richiedere 62 anni di età e 41 anni di contributi), introdotta come misura temporanea, si potrebbe passare ad un meccanismo interamente contributivo, che privilegerebbe coloro che hanno iniziato a lavorare dal primo gennaio 1996 e hanno maturato contributi dopo questa data. 

La nuova possibilità di andare in pensione anticipata a 64 anni di età varrebbe, dunque, esclusivamente per chi ricade nel sistema contributivo puro e prevederebbe limiti più stringenti sia per età sia per il valore dell’assegno maturato.

Requisiti per accedere alla pensione anticipata a 64 anni

Stando a quanto anticipo, l'uscita anticipata dal mercato del lavoro a 64 anni sarà possibile solo per lavoratori cosiddetti contributivi puri e solo se soddisfano specifici requisiti, che sono:

  • Assenza di periodi contributivi antecedenti al 1996;
  • Almeno 25 anni di contribuzione effettiva dal 2025 (che saliranno a 30 dal 2030);
  • Età anagrafica minima di 64 anni;
  • Importo della pensione almeno pari a 3 volte l’assegno sociale (3,2 dal 2030), attualmente superiore ai 1.600 euro lordi mensili.
Le condizioni sono state modificate appositamente per garantire che le uscite anticipate non incidano in modo eccessivo sulla spesa pubblica, tenendo conto delle stime demografiche e della necessità di equilibri tra generazioni.

Se il valore dell’assegno maturato deve essere pari ad almeno tre volte l’importo dell’assegno sociale, che nel 2025 è di circa 539 euro, significa che la pensione dovrà arrivare ad essere pari ad almeno circa 1.617 euro lordi mensili per uscire a 64 anni.

L’aumento del requisito reddituale, decisamente elevato, escluderebbe dalla possibilità di uscita anticipata moltissimi lavoratori che, pur raggiungendo i 64 anni e avendo versato almeno 25 anni di contributi, non riescono a maturare un assegno previdenziale tale da poter uscire prima, con la conseguenza rinviare il pensionamento all’ordinario requisito richiesto per la pensione di vecchiaia. 
 

Le regole per donne, lavoratori con carriere discontinue e categorie penalizzate

Le nuove disposizioni incidono in modo differenziato su specifiche categorie. In particolare, le donne continuano a subire uno svantaggio dovuto a percorsi lavorativi spesso meno lineari o a interruzioni legate a esigenze familiari. A mitigare la rigidità di accesso, sono previsti sconti sull’importo soglia per le lavoratrici con figli:

  • 2,8 volte l’assegno sociale per le donne con un figlio;
  • 2,6 volte per le donne con due o più figli.

Cosa succede dal 2030: ulteriori inasprimenti e prospettive future

A partire dal 2030, i requisiti dovrebbero ulteriormente inasprirsi. Sono previsti:
  • Incremento degli anni di contribuzione da 25 a 30;
  • Importo minimo della pensione innalzato a 3,2 volte l’assegno sociale;
  • Indicizzazione dei requisiti alle variazioni della speranza di vita rilevate da Istat.

Sostenibilità, equità e criticità della riforma: chi rischia di restare escluso

L’esigenza di garantire la sostenibilità finanziaria del sistema pensionistico si scontra con il rischio di escludere nuove generazioni di lavoratori o categorie deboli. Secondo le proiezioni, solo chi ha goduto di carriere regolari e continuative potrà andare in pensione a 64 anni: i lavoratori con bassi redditi, interruzioni di carriera o lunghi periodi di precariato potrebbero essere costretti a restare al lavoro fino al normale raggiungimento dei 67 anni di età, o anche più, come previsto dalla ordinaria pensione di vecchiaia

Dunque, ad essere penalizzati sarebbero certamente:

  • I giovani, entrati nel mercato del lavoro dopo il 1996, maturano difficilmente l’importo minimo richiesto;
  • Le donne, soprattutto in presenza di figli o carichi familiari, accumulano spesso retribuzioni e contributi più bassi;
  • I lavoratori autonomi e discontinui trovano maggiori ostacoli nel raggiungimento delle soglie richieste.
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