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Pensioni, che cosa vogliono i sindacati in Manovra Finanziaria. scontro frontale con il Governo Meloni

di Marianna Quatraro pubblicato il
Pensioni sindacati Manovra governo

braccio di ferro tra sindacati e governo sulle novit per le pensioni 2026 da inserire nella prossima Manovra finanziaria: le richieste e le posizioni

Le discussioni sulle misure previdenziali da inserire nella manovra finanziaria rappresentano uno dei principali punti di tensione tra sindacati e governo. In un contesto segnato da aspettative crescenti, richieste di maggiore flessibilità nei sistemi di uscita e tutela del potere d’acquisto per i pensionati, il dialogo tra le parti appare complesso e spesso conflittuale.

Il governo, con le nuove proposte, mira a mantenere l’equilibrio dei conti pubblici e a rilanciare crescita e occupazione, ma le forze sindacali giudicano insoddisfacenti le decisioni in materia di pensioni e insistono su ulteriori interventi.

Le richieste dei sindacati sulla previdenza: quali modifiche alla manovra

Le principali organizzazioni sindacali, in particolare CGIL e UIL, portano avanti richieste chiare sulle possibili novità pensioni da inserire nella Manovra finanziaria 2026. Tra le principali spiccano:

  • Rivalutazione piena degli assegni: i sindacati giudicano insufficiente l’incremento delle pensioni minime, previsto in poco più di tre euro al mese, e sollecitano una revisione ancorata all’effettivo aumento del costo della vita.
  • Maggior flessibilità in uscita: è richiesta la revisione dei requisiti, inclusa l’estensione e il miglioramento di strumenti come Quota 103, Opzione Donna e Ape Sociale, che secondo sindacati devono essere rafforzati e non solo prorogati.
  • Tutela del potere d’acquisto: CGIL e UIL insistono sulla necessità di indicizzare pienamente tutte le pensioni (non solo quelle minime) all’inflazione.
  • Miglioramento delle condizioni di accesso per lavori usuranti e precoci: vengono richiesti criteri più flessibili e una valutazione più ampia per chi si trova in condizioni di fragilità lavorativa.
E sulla recente di proposta di uscita anticipata a 64 anni di età con 25 anni di contributi e l'uso del proprio Tfr, è stata durissima la replica della Cgil. Lara Ghiglione, segretaria confederale, ha definito profondamente sbagliata tale ipotesi, considerando che il Tfr è un salario differito, non un fondo da usare a piacimento. Così si farebbe pagare ai lavoratori il costo della flessibilità in uscita.

La posizione del Governo Meloni sulle pensioni: conferme e novità

L’esecutivo, guidato da Giorgia Meloni, difende la manovra finanziaria del 2026 sulla base della necessità di salvaguardare la stabilità economica nazionale e assicurare maggiore sostenibilità ai conti previdenziali. Secondo le dichiarazioni ufficiali, le misure pensionistiche sono state elaborate rispettando i vincoli di bilancio e mantenendo alcune promesse chiave:

  • Incremento delle pensioni minime: la rivalutazione, pari a un aumento del 2,2% nel 2025 e una crescita contenuta anche nel prossimo 2026, consentirà di mantenere gli importi almeno in linea con l’inflazione, seppur con un beneficio modesto in termini assoluti. (L'obiettivo che i sindacati perseguono è, invece, quello di garantire ai diversi pensionati, soprattutto a chi percepisce pensioni minime, aumenti adeguati e capaci di garantire a tutti la possibilità di condurre una vita serena e dignitosa.
  • Proroga delle uscite anticipate: strumenti flessibili come le attuali Quota 103, Opzione Donna e Ape Sociale sono stati confermati ancora quest'anno in via sperimentale, ma per il prossimo anno non dovrebbero essere ancora in vigore, ad eccezione di una possibile Opzione donna modificata.
  • Nuovi sistemi di uscita anticipata, come quella proposta dal sottosegretario Durigon di pensione anticipata fino a tre anni prima, quindi a 64 anni di età, avendo maturato almeno 25 anni di contributi, e utilizzando il Tfr per raggiungere la pensione finale.
Sempre la Cgil ha anche espresso un giudizio particolarmente duro sul futuro di Opzione Donna, spiegando che il rilancio annunciato, dopo aver ristretto la platea delle beneficiarie solo a specifiche categorie senza dare a tutti la possibilità di usufruire di tale forma di uscita, è stata annunciata come una conquista, ma in realtà per le lavoratrici si tratta di una ulteriore delusione, perché resterebbe comunque valida solo per poche, pur se con una riduzione delle finestre previste (ora fissate a 12 mesi per l’uscita delle lavoratrici dipendenti e a 18 mesi per le autonome).
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