Il tasso per la rivalutazione pensionistica 20266 è stato fissato all'1,4% ma per recuperare tutto il valore perso gli assegni dovrebbero realmente aumentare almeno del 15% o anche più: gli esempi
L’adeguamento delle pensioni previsto per il 2026 rappresenta uno degli argomenti di maggiore interesse tra i pensionati e le rispettive famiglie. Negli ultimi anni, il potere d’acquisto degli assegni previdenziali ha subito un’erosione costante a causa di tassi di richiesta di rivalutazione considerati insufficienti a fronte del reale andamento del costo della vita. Con l’applicazione di un tasso dell’1,4%, molti si chiedono quanto sia realmente sufficiente questo adeguamento e se possa davvero colmare il gap accumulato.
Il meccanismo della rivalutazione degli assegni pensionistici, noto anche come perequazione, si basa sull’adeguamento annuale degli importi alla variazione dei prezzi al consumo secondo l’indice FOI (Famiglie di Operai e Impiegati) calcolato dall’Istat. L’obiettivo è tutelare i redditi dei pensionati dall’inflazione, sebbene negli ultimi anni l’adeguamento sia risultato spesso parziale rispetto alle effettive variazioni dei prezzi.
I criteri di perequazione e le relative fasce di applicazione sono le seguenti:
L’applicazione del tasso di rivalutazione dell’1,4% alle pensioni comporta aumenti minimi che variano in funzione dell’importo di partenza e della fascia di appartenenza. Si affiancano poi misure di supporto mirate a chi percepisce assegni particolarmente bassi, oltre a interventi normativi sul fronte fiscale.
Nel dettaglio, la pensione minima sarà incrementata fino a raggiungere circa 611,85 euro mensili (con una quota aggiuntiva per chi rientra nella rivalutazione straordinaria). Per chi percepisce importi superiori, la progressione degli aumenti risente della percentuale ridotta nei vari scaglioni:
L’applicazione della riforma fiscale sul secondo scaglione Irpef, ridotto dal 35% al 33%, garantirà un risparmio fiscale fino a 440 euro annui per chi percepisce pensioni tra i 28.000 e i 50.000 euro lordi l’anno, ma senza incidere sugli assegni di importi elevati.
I seguenti esempi sintetizzano l’impatto concreto dell’adeguamento dell’1,4% sugli assegni pensionistici tipici, coinvolgendo sia la rivalutazione piena che quelle parziali:
| Importo pensione 2025 | Nuovo importo 2026 (lordo) | Aumento mensile |
| 603 euro (minima) | 611,85 euro | +8,85 euro |
| 1.000 euro | 1.014 euro | +14 euro |
| 1.200 euro | 1.216,80 euro | +16,80 euro |
| 1.400 euro | 1.419,60 euro | +19,60 euro |
| 2.000 euro | 2.028 euro | +28 euro |
| 2.600 euro | 2.636,14 euro | +36,14 euro |
| 3.400 euro | 3.445,41 euro | +45,41 euro |
L’impatto della perequazione limitata risulta evidente, soprattutto per gli assegni superiori a 2.413 euro, dove la percentuale applicata si riduce e l’aumento mensile si assottiglia.
I sindacati, tra cui Cgil e Uil, hanno a più riprese denunciato gli effetti negativi delle mancate rivalutazioni rispetto all’inflazione effettiva. Gli anni 2023-2024 hanno registrato una perequazione sensibilmente più bassa rispetto a quanto sarebbe stato necessario per tutelare integralmente il potere d’acquisto. Secondo analisi di settore, la perdita cumulata negli ultimi anni ha raggiunto cifre rilevanti:
Un’ipotesi di questo genere, pur difficilmente compatibile con l’attuale scenario macroeconomico e con i vincoli di bilancio dello Stato, servirebbe a:
| Importo pensione 2025 | Nuovo importo 2026 (15%) | Aumento mensile | Aumento annuo |
| 1.200 euro | 1.380 euro | +180 euro | +2.160 euro |
| 1.400 euro | 1.610 euro | +210 euro | +2.520 euro |
| 2.000 euro | 2.300 euro | +300 euro | +3.600 euro |
Con tali dati è evidente come l’incremento ipotetico si discosti nettamente da quello effettivamente previsto con il tasso dell’1,4%. L’adozione di un simile tasso, benché difficilmente realizzabile, avrebbe un impatto diretto e tangibile sulla qualità della vita dei pensionati.